14 Novembre, 2024
spot_imgspot_img

Ultimatum di Renzi a Conte: o dice di sì al Piano Ciao o Italia Viva esce dal governo

L’ottimismo salvifico del Vday, su cui tanto avevano scommesso palazzo Chigi e il commissario Arcuri per tirare almeno un po’ il fiato, finisce sommerso da pioggia e neve e nuvole nere nel giro di poche ore. L’inizio della campagna di vaccinazione più colossale di sempre s’aggroviglia in poche ore in una rissa di numeri – sulle dosi riservate a ciascun paese e all’Italia meno a che a Francia e Germania giusto per fare un esempio – sui mormorii dei no-vax e dei dubbiosi anche tra i sanitari, medici, infermieri e personale sanitario delle Rsa, sui temuti ritardi nelle consegne, sulla mancanza – ancora oggi – dei 15 mila tra medici e infermieri addetti alla vaccinazione. Per non parlare degli effetti collaterali che per quanto minimi ci sono ma vengono taciuti. Tutto questo non depone a favore dell’affidabilità dell’intera macchina.
Il fatto è che “la luce alla fine del tunnel”, la “rinascita”, “la nuova primavera” e tutti gli appellativi e le metafore riservate al Vax day europeo vanno a sbattere soprattutto sul nodo del Recovery plan. E sul contro-piano che Matteo Renzi ha presentato ieri in una conferenza stampa al Senato. Lo ha chiamato Piano Ciao, acronimo per Cultura-Infrastrutture- Ambiente-Opportunità che sono i quattro “obiettivi” su cui investire i 209 miliardi europei. «Mercoledì mattina – ha spiegato Renzi – i nostri ministri e i capigruppo saranno al Mef e illustreranno al ministro Gualtieri (e non a Conte a palazzo Chigi, ndr) i 61 punti che noi, dopo aver studiato per tre giorni il piano di Conte, proponiamo di correggere per finalizzare meglio gli investimenti, fare debito buono e cambiare veramente l’Italia». Se non saranno accolte e discusse almeno in parte le proposte, l’ex premier ha ribadito che «le nostre ministre e il nostro sottosegretario si dimetteranno. Se poi c’è una maggioranza anche senza di noi, bene, ne prenderemo atto». Francamente, non si vede motivo per cui le proposte dei renziani non debbano essere almeno in parte accolte. «È solo una questione di volontà politica, noi portiamo idee per fare debito buono e spendere bene questi soldi, lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti». Renzi sa, e lo dice, che le proposte di Italia viva trovano il consenso di molta parte del Parlamento. «Poi però, certo, noi siamo quelli antipatici…»
Il punto è che il Piano di rilancio italiano (la versione italiana del Rplan con il dettaglio dei 52 progetti finanziati con i 209 miliardi del Recovery fund) va riscritto in molte sue parti. La bozza che il premier ha consegnato il 21 dicembre ai ministri – 133 pagine più due allegati con le schede dei 52 progetti – è stata in questi giorni vivisezionata dai singoli partiti. E se Italia viva è stata quella che ha sollevato il problema costringendo per questioni di merito e di metodo il premier a fermare un cronoprogramma che avrebbe voluto bozza e relativa governance entrambi approvati tra l’8 e il 9 dicembre, si scopre ora che il Piano Conte-Gualtieri-Amendola non piace neppure al Pd e neppure a Leu. Ciascuno dei tre partiti ha infatti consegnato ieri una controproposta al premier che interviene su molti punti del Piano. In una decina di pagine Leu chiede di rivedere dalla testa ai piedi il piano sulla sanità giudicato «largamente insufficiente anche tenendo conto di alcuni programmi trasversali». Per non parlare della cifra stanziata, 9 miliardi, inspiegabile. Più in generale, il partito del ministro della Salute Roberto Speranza chiede di «abbandonare la visione microprogettuale per adottare una visione complessiva».
Il Pd chiede che il Recovery plan sia un piano che “cambia l’Italia”. Il segretario dem ieri mattina ha smentito articoli di stampa in cui si spiegava che per il Nazareno il progetto “sia tutto da rifare”. E però va detto le 26 slide firmate Pd con le cose da fare “ora” – green, transizione ecologica, innovazione, parità di genere, innovazione, cultura, commercio – sono titoli che non trovano uno sviluppo organico e conseguente nelle 133 pagine del dossier consegnato da palazzo Chigi il 21 sera ai ministri. Il Pd, ha detto Zingaretti, «vuole contribuire alle scelte strategiche per l’Italia in maniera costruttiva e responsabile».
Inutile dire che il “Piano Ciao” ha infiammato la verifica di governo. Oltre che dare spazio ad ironie varie, tipo “Ciaone Conte”. Renzi giudica le 133 pagine del piano Conte “raffazzonate” e “privo di anima”. Sul Mes non ha alcuna intenzione di fare passi indietro. «Usiamo quei 36 miliardi, recuperiamo i 9 miliardi che Conte ha destinato alla Sanità e mettiamoli sulla cultura, la C, il primo dei nostri pilastri, che crea sviluppo e posti di lavoro soprattutto per i giovani». Poi c’è la “I” di infrastrutture perché la disoccupazione «non si combatte con i redditi di cittadinanza ma con l’Alta velocità a cui i 5 Stelle continuano a dire no o gli investimenti nell’edilizia popolare». Poi la “A” di ambiente dove l’investimento non può essere pari ai 3,9 miliardi previsti da Conte ma «ne servono almeno il doppio per combattere il dissesto idrogeologico». Infine la “O” di opportunità, soprattutto per i giovani a cui il Piano attuale destina «solo due miliardi contro i 20 del superbonus edilizio. Ma se non destiniamo adesso i soldi ai giovani quando la faremo?». Renzi cerca di freddare polemiche e sarcasmi. «Il nostro è un piano molto serio: cultura, infrastrutture, ambiente, opportunità. Quello di Conte produrrà una crescita di pil da qui al 2026 pari a 2,3 e +0,89 di occupazione al Sud. Troppo poco».
Di tutto questo prende nota chiuso a palazzo Chigi il presidente Conte. Che ha già dimostrato di non temere gli slalom stretti e di saper tagliare i traguardi in piedi. Gli ultimi giorni dell’anno si annunciano molto intensi. Nessuno crede che Italia viva voglia far deflagrare il governo. Di sicuro il Piano Ciao cambierà la tempistica di palazzo Chigi. Raccolte le varie proposte di modifica del Recovery plan dai partiti di maggioranza, Conte lavorerà ad una sintesi ma sembra sfumare l’obiettivo di convocare il Consiglio dei ministri per l’approvazione – in via preliminare – del piano stesso nella giornata di mercoledì 30 dicembre. Lo stesso giorno, tra l’altro, il premier sarà impegnato nella consueta conferenza stampa di fine anno. E il Senato dovrebbe dare il via libera definitivo alla legge di Bilancio 2021. Senza neppure poterla discutere. Mai successo. Il rimpasto guidato da Conte resta sempre l’ipotesi più accreditata. Anzi, indispensabile.

(Il Riformista)

 

Ultimi articoli