23 Dicembre, 2024
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Loqi, l’artista di strada passato al web per continuare a suonare

Il busker ‘4.0’, fermato dal covid dopo aver viaggiato per anni nelle piazze d’Italia non si arrende, anzi rilancia

Il suo strumento, una sorta di tamburo ‘dolce’ in acciaio chiamato “handpan”, ha viaggiato per anni nelle piazze italiane e di tutta Europa. Insieme al cappello a terra per raccogliere le donazioni. Da mesi, invece, è fermo in una stanzetta-studio di un appartamento di Bergamo. Tuttavia, continua a suonare e ad essere ascoltato da un pubblico internazionale, dalle Hawaii all’Australia.

E per gli incassi ora basta un click degli spettatori in remoto. Dalla strada al web per sopravvivere: la tecnologia diventa il mezzo per salvare la musica in tempi di Covid. E’ la storia di Matteo Loqi, busker 36enne, azzoppato come tanti suoi colleghi dal coronavirus ma determinato a trasformarsi in artista di strada 4.0 per non smettere di suonare.

“La strada è diventata virtuale, è una strada nell’etere. Appoggio il mio cappello, suono e l’utente web che passa mi può lasciare qualcosa”, racconta il giovane artista all’AGI. Laureato in lingue a Bologna, ha iniziato la carriera di strada nel 2013 in piazza Maggiore. Successivamente si è trasferito a Bergamo per seguire la sua fidanzata.

“Non avevo la vocazione del busker ma la mia è stata una reazione di petto al fatto che nei locali non venivo pagato. Ho sempre pensato che il mio fosse un mestiere e una scelta di vita non un hobby”. Sei anni in giro per l’Europa circondato da un set di strumenti elettronici – drum-machine, sintetizzatori – nei festival. E melodie più soft con l’handpan a vibrare nelle strade e nelle piazze: dalle metropoli ai borghi medioevali.

In strada le persone non si fermano, neanche a distanza di sicurezza

Poi lo stop forzato con il primo lockdown. “Quando è stato possibile, in estate ho riprovato a suonare in strada ma – ricorda – le persone non si fermavano volentieri ad ascoltare, neanche a distanza di sicurezza. Lo capisco. Per ‘accarezzare’ qualche orecchio occorre che i passanti ti dedichino qualche minuto di attenzione ma tendono a non farlo quando le preoccupazioni sono tante”.

Così la decisione di puntare sul web tramite la piattaforma di livestreaming “Twitch” (di proprietà di Amazon.com) nata per gli appassionati di videogiochi ed ora utilizzata anche dai cantanti. “Ho usato questo mezzo con spirito imprenditoriale. I seguaci – spiega Loqi – possono abbonarsi al mio canale pagando una quota mensile. Poi hanno la possibilità di fare donazioni e tramite un’App posso interagire in diretta con il pubblico. Spesso mi chiedono canzoni, cover, e io le suono”.

Il pubblico virtuale paga? “Quello italiano non molto. E’ come per strada: in Italia i soldi li prendi quasi sempre dai turisti. Per questo ho deciso nell’ottobre scorso di cambiare e di rivolgermi, sul web, ad un pubblico internazionale parlando solo in inglese. Ci vorrà forse un po’ di tempo per decollare ma le potenzialità a livello redditizio sono maggiori”.

L’ultima esibizione in presenza all’aperto risale alla scorsa estate (“una serata fiacca ma bella”) e il futuro è un grande punto interrogativo. “Non sappiamo ancora quando il Covid ci lascerà liberi e non so – spiega il 36enne – se ritornerò a suonare in strada. Quello che faccio ora è simile ma non è la stessa cosa. Cambiano le sensazioni. La strada mi manca. Al di là del mio caso questo è un mestiere che non morirà mai”.

Prima il canto, poi l’incontro con lo spartito alle scuole elementari con due anni di studio del pianoforte. Fino alla chitarra da autodidatta e alla passione per la musica techno ed elettronica. Ora Loqi scrive le sue canzoni ed autoproduce i propri album, quattro in totale con un record da duemila copie per il più venduto.

La prima a credere nel progetto di musica elettronica di Matteo Loqi è stata Rebecca Bottoni presidente del Ferrara Buskers Festival (figlia di Stefano, il fondatore della manifestazione nata nel 1987).

“Le situazioni di criticità – ha osservato Bottoni interpellata dall’AGI – stimolano la fantasia. Alcuni artisti di strada sono riusciti a reinventarsi perché questo fa parte del loro dna. Già suonare in strada è una forma d’arte che deve costantemente stupire. E’ anche vero che diversi buskers sono veramente afflitti. Come dice Guccini: la sofferenza viaggia nell’arte”.

(Agi)

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