Su Giulio Regeni l’Egitto non arretra.
«Il Procuratore generale ha annunciato che per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima, in quanto il responsabile resta sconosciuto»: lo ribadisce in un comunicato la Procura generale egiziana.
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La magistratura italiana il 10 dicembre scorso aveva chiuso le indagini contro 4 appartenenti ai servizi egiziani, passo che precede l’apertura di un processo. Ma la nota diffusa da Il Cairo torna a sottolineare che il Procuratore «ha incaricato le parti cui è affidata l’inchiesta di proseguire le ricerche per identificare» i responsabili.
«Il procuratore» generale egiziano Hamada Al Sawi «esclude ciò che è stato attribuito a quattro ufficiali della Sicurezza nazionale a proposito di questo caso», si afferma inoltre nel testo pubblicato sulla pagina Facebook dell’istituzione cairota la quale ha evitato di fornire l’elezione di domicilio degli indagati come richiesto invece dalla Procura di Roma. «Vista la morte degli accusati, non c’é alcuna ragione di intraprendere procedure penali circa il furto dei beni della vittima, il quale ha lasciato segni di ferite sul suo corpo», aggiunge il comunicato. Il riferimento è ai cinque componenti della «banda criminale» specializzata in rapine a «stranieri», «tra i quali un altro italiano oltre alla vittima», ricorda la nota. Il gruppo fu sgominato in uno scontro a fuoco con forze di sicurezza al Cairo il 24 marzo 2016. Le autorità egiziane sostennero che nel loro covo furono trovati documenti di Regeni, tra cui il passaporto, ma la versione non convinse gli inquirenti italiani.
Già nel comunicato congiunto del 30 novembre con la Procura di Roma, quella generale egiziana aveva avanzato «riserve sul quadro probatorio» che, a suo dire, è costituito «da prove insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio».
(Il Gazzettino)