25 Novembre, 2024
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Più dubbi che certezze nel primo giorno del Regno Unito fuori dall’Ue

“Abbiamo la libertà nelle nostre mani e sta a noi sfruttarla al meglio”, ha detto il premier Boris Johnson. Ma ci vorrà tempo per capire l’impatto complessivo del divorzio tra Bruxelles e la Gran Bretagna

Quando le lancette del Big Ben hanno scoccato le 23, in una Parliament Square pressoché deserta, Londra ha dato il definitivo addio all’Unione Europea. Il primo ministro, Boris Johnson, nel suo messaggio di fine anno, ha parlato di un “momento fantastico”. “Abbiamo la libertà nelle nostre mani e sta a noi sfruttarla al meglio”, ha detto il premier. Ci vorrà però tempo per capire l’impatto complessivo del divorzio da Bruxelles sul Regno Unito.

Le trattative con la Commissione Europea si sono concentrate, nei giorni della stretta finale, sul commercio e idissidi sulla pesca, una questione assai marginale dal punto di vista economico che era sembrata in grado di far scattare il ‘no deal’. Su altri fronti le incognite sul futuro della Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea abbondano. Londra non ha lasciato solo il mercato unico. Ci sono da affrontare le conseguenze dell’uscita da una lunga serie di accordi, dalla convenzione di Lisbona sul valore legale dei titoli di studio al programma satellitare Galileo. Tutti argomenti che hanno avuto pochissimo spazio sui media nei giorni cruciali del negoziato.

Quale futuro per la City?

Il vero elefante nella stanza, ai margini del dibattito mentre ci si accapigliava su poche decine di milioni di euro in spigole e merluzzi, è però l’industria dei servizi finanziari, che vale circa il 7% del Pil e ha nell’Unione Europea uno dei principali mercati, con un giro d’affari da 33,2 miliardi di euro l’anno.

Se Theresa May aveva negoziato un accordo su questo settore, così non ha fatto Johnson. Anzi, era stato proprio il primo ministro a chiedere di lasciar fuori dalle trattative il settore dei servizi, cioè oltre il 70% dell’economia britannica, così da chiudere in fretta la partita. Questa materia sarà regolata da negoziati specifici nei prossimi mesi, con un primo termine fissato entro marzo sul cui rispetto c’è scetticismo.

Perso il passaporto europeo, le società finanziare britanniche saranno soggette al sistema dell’equivalenza, che Bruxelles ha garantito temporaneamente solo per le fondamentali ‘clearing house’ e per il trading di obbligazioni con l’Irlanda. Per il resto, il secondo centro finanziario del mondo si trova ora in balia di ventisette ordinamenti diversi, suscettibili di mutamenti ad hoc.

Sulla Manica tornano i controlli

Di certo, a parte la fine della libertà di movimento per mezzo miliardo di persone da entrambi i lati della Manica, c’è quindi poco. I titoli dei principali quotidiani riflettono un Paese spaccato in due. La prima pagina del conservatore Daily Express mostra le bianche scogliere di Dover e un Union Jack con scritto “libertà”. L’Independent, europeista e orientato a sinistra, è dubbioso. “Sganciati dall’amo o alla deriva?”, è il titolo.

Ora gli occhi sono tutti puntati sulla Manica. L’accordo di libero scambio tra Ue e Regno Unito ha evitato il ritorno dei dazi ma non quello dei controlli alla frontiera. La Road Haulage Association, l’associazione di categoria degli autotrasportatori britannici, prevede che saranno 220 milioni i nuovi moduli che dovranno essere compilati ogni anno per garantire il transito delle merci tra i due lati del canale, dove al momento la situazione appare tranquilla. “Per i prossimi giorni è previsto un traffico molto leggero”, ha spiegato John Keefe, portavoce della società che gestisce l’Eurotunnel. È capodanno ed è venerdì. Si comincerà a capire qualcosa di più da lunedì 4 gennaio.

Non sarà però solo la burocrazia aggiuntiva a rallentare il traffico sul canale attraversato ogni giorno da 60 mila passeggeri e 12 mila mezzi pesanti. Oltre ai controlli sui passaporti, tornano anche i permessi di circolazione, dal momento che Londra ha abbandonato anche il sistema unico sul trasporto interno delle merci sui mezzi pesanti.

È stato invece scongiurato, con un accordo separato, il rischio che i conducenti britannici debbano chiedere una licenza internazionale per guidare le loro auto sulle strade europee. Nondimeno se, come si auspica, la prossima estate restituirà una parvenza di normalità ai vacanzieri, i turisti britannici dovranno procurarsi un certificato sanitario per viaggiare con i loro animali, potranno essere soggetti ai controlli dell’ufficio immigrazione e non potranno stare nelle loro seconde case più di 90 giorni senza un visto.

L’ottimismo di BoJo

Nonostante le incertezze, Johnson è ottimista. In un editoriale pubblicato sul Daily Telegraph, il premier assicura che il 2021 sarà “un anno di cambiamento e speranza”. “Per noi, questo significa la fine delle dispettose liti sull’Europa che hanno avvelenato la nostra politica per così tanto tempo”, sostiene BoJo a proposito dell’accordo di libero scambio con la Ue, “per i nostri amici, questo non significa certo che ci abbiano perso, per non parlare del nostro appetito per le loro Maserati o per il loro Gewurtztraminer.”

Il testo di 1.246 pagine prevede inoltre, al fine di evitare qualsiasi concorrenza sleale, sanzioni e misure compensative in caso di mancato rispetto delle norme in materia di aiuti di Stato, ambiente, diritto del lavoro e fiscalità.

Grande alfiere del ‘Leave’, Johnson ha promesso ai suoi cittadini una Gran Bretagna “internazionalista e aperta al mondo”. E grande è stato il suo attivismo negli ultimi giorni, che lo hanno visto stringere accordi commerciali con Giappone, Canada, Singapore e Turchia. Sul fronte delle relazioni politiche, rappresenta però un interrogativo il rapporto con lo storico alleato statunitense.

Se con Donald Trump, come Johnson tra i principali protagonisti dell’onda antiglobalista degli ultimi anni, le relazioni sono state positive, non è detto accada lo stesso con Joe Biden, che ha molto a cuore la causa dell’Irlanda, terra dei suoi antenati che ha scongiurato il ritorno di una vera e propria frontiera (e, potenzialmente, del terrorismo dell’Ira) grazie anche alla sua pressione.

E la Scozia sogna l’indipendenza

Gelido invece il commiato dell’Unione Europea. Nessun rappresentante delle istituzioni comunitarie ha inviato a Londra un messaggio di saluto ufficiale. C’è solo l’amaro commento del presidente francese, Emmanuel Macron, secondo il quale “questa Brexit è stata figlia del malessere europeo e di tante bugie e false promesse”.

Di un arrivederci e non di un addio si tratta invece per la premier scozzese, Nicola Sturgeon, che su Twitter ha accolto l’anno nuovo con l’immagine della facciata di un palazzo sul quale luci blu proiettano le parole ‘Europe’ e ‘Scotland’ in perpendicolare, che si incrociano su una ‘o’ in forma di cuore. “La Scozia tornerà presto, Europa”, scrive Sturgeon, “tenete la luce accesa”.

Durante il referendum del giugno 2016 sulla permanenza nell’Unione Europea, i cittadini scozzesi avevano votato in larga maggioranza a favore del ‘Remain’, sentendo più tutelata la propria specificità culturale nell’alveo comunitario. Proprio per questo Sturgeon chiede ora un terzo referendum per l’indipendenza, che per il momento il primo ministro britannico, Boris Johnson, respinge. Dato il carattere risoluto di entrambi i leader, nei prossimi mesi sarà una bella battaglia.

(Agi)

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