“I servizi segreti sono un asset strategico del paese, non uno scudo politico che qualcuno possa usare per rafforzare la propria posizione nella contesa interna”.
Parlando a Il Foglio, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti ha voluto lanciare un preciso ammonimento a Giuseppe Conte e Matteo Renzi, intenti a confrontarsi nel duro braccio di ferro politico che ha al centro la nomina dell’autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Carica che, per inciso, l’onorevole marchigiano del Pd ha già ricoperto ai tempi del governo Renzi e la cui valenza strategica ben conosce.
Il tema della nomina dell’autorità delegata destinata a ricevere poteri di coordinamento che Conte ha per ora detenuto in entrambi i suoi governi è cruciale per il futuro dell’esecutivo giallorosso. A loro modo il Partito Democratico e diversi esponenti del Movimento Cinque Stelle hanno posto richieste politiche precise: nominare un’autorità delegata di stampo politico e di provenienza partitica è ritenuto dai dem cruciale per riequilibrare la forza di un premier ritenuto organico alla galassia dei pentastellati (e valorizzare i loro rapporti internazionali) e da questi ultimi un diritto connesso al loro ruolo di forza-traino dell’esecutivo in Parlamento. Conte e Renzi, invece, si sbracciano con un’agitazione ancora maggiore sulla questione, che ruota attorno a quella che è la vera volontà di Conte, ovvero di nominare un’autorità delegata nella figura di una personalità indipendente e apartitica, un funzionario proveniente da enti quali il Consiglio di Stato.
L’agitazione del leader di Italia Viva e del presidente del Consiglio fanno pensare che la partita in atto sia molto ampia. In queste settimane abbiamo presentato le chiavi di lettura più realistiche. Renzi, indubbiamente, teme che Conte possa sfruttare il radicamento nell’intelligence per costruire consenso istituzionale attorno a una sua futura forza politica destinata a oscurare la sua Italia Viva. Il premier, inoltre, vuole riunire il coordinamento dei servizi al controllo del futuro Istituto italiano di cyber-sicurezza per rafforzare il ruolo di Palazzo Chigi, logorato dalle divisioni interne al governo, e dunque minimizzare quello di Italia Viva, che punta sulla sua natura di ago della bilancia parlamentare. Più fumoso e meno palpabile è invece il sottobosco di interessi personali, intrighi e questioni mai risolte che agitano il mondo dei servizi e il peso di dossier scottanti quali quelli sul ruolo dell’Italia nel contesto dello scoppio del Russiagate statunitense, che chiamano il governo Renzi a dare risposte. O il tema della forzatura istituzionale compiuta da Conte nell’estate 2019, quando si trovò a dover mediare un incontro segreto tra William Barr, procuratore generale degli Stati Uniti, e il direttore del Dis Gennaro Vecchione.
Il dubbio è che Conte e Renzi puntino con forza il tema dei servizi proprio perché timorosi che possibili scheletri nell’armadio possano essere usati per fini politici.
Depotenziando e svalorizzando entrambi il ruolo cruciale e decisivo per il Paese di istituzioni cardine per la sicurezza repubblicana. Occhi e orecchie della Repubblica, intenti a lavorare sul fronte interno (Aisi) contro la criminalità organizzata, i reati finanziari, le minacce terroristiche e a muoversi sul fronte estero (Aise) per preservare la sicurezza nazionale e le vite dei cittadini italiani all’estero. Il rischio di arrivare allo scontro è dietro l’angolo. E, come spiegano autorevoli fonti a La Verità, anche nel Partito democratico iniziano a essere profondamente scontenti delle mosse di Conte sul tema dell’intelligence, che sarebbe riuscito addirittura a far infuriare anche qualche pentastellato. Il problema, spiega Carlo Tarallo, sarebbe l’inserimento del progetto dell’Istituto italiano di cyber sicurezza all’interno del Recovery Plan. Una mossa che la maggioranza considera sleale e pericolosa, a tal punto che c’è chi crede che sia questa la vera guerra che può far saltare il banco, dal momento che interessa uno dei nodi più delicati dello Stato anche nei rapporti con gli alleati internazionali. Ipotesi ribadita anche dal Corriere della Sera, che ribadisce che “il premier si è ‘intestardito’ — come racconta un autorevole dirigente dem — nel voler inserire tra i finanziamenti la controversa Fondazione per la cyber sicurezza, che al Nazareno guardano con ostilità, perché ritenuta una sorta di ‘struttura parallela dei servizi’“. Non proprio una questione di secondo piano per un Paese.
Intellego ac tueor (“comprendo e decido”) è il motto dell’agenzia estera, Scientia rerum Reipublicae salus (“La conoscenza delle cose è la salvezza dello Stato”) quello dell’Aisi, e entrambi rendono al meglio la missione valoriale e strategica delle agenzie. Che per effetto della governance legata alla Legge del 2007, approvata con spirito bipartisan, sono state considerate patrimonio comune della nazione da quel tempo in avanti. Lo ha capito ai tempi del suo governo Silvio Berlusconi, che scelse Gianni Letta come autorità delegata, lo comprese Mario Monti, che portò al suo fianco il prefetto Gianni de Gennaro e da premier, con la nomina di Minniti, ha dimostrato di capirlo anche Renzi. Ora assistiamo invece a una lotta di potere nuda e cruda, condotta da uomini privi di reale consenso politico ed elettorale in questa fase storica che cercano di crearselo occupando spazi di apparati statali (Conte) o sfruttandoli per calcolo politico a fini d’immagine di breve termine (Renzi) con un cinismo pericoloso per l’attuale circostanza storica che vive il Paese, fatta di fragilità e incertezze. L’ennesima dimostrazione del caos senza fine dei giallorossi, il cui governo è un campo di battaglia per sfogare appetiti e ambizioni personali.
(Il Giornale)