24 Novembre, 2024
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Stati Uniti. Il giudice non ferma Trump: prima donna sul patibolo in 70 anni

Via libera di una Corte d’appello alla messa a morte di Lisa Montgomery il 12 gennaio. In agenda anche altre due esecuzioni prima dell’addio alla Casa Bianca del repubblicano

Poco più di un anno fa la ripresa delle esecuzioni federali, ora la possibile prima messa a morte di una donna in quasi 70 anni, oltre alla solita e ormai stanca litania sul presunto furto elettorale da parte di Joe Biden. Litania che ora coinvolge, in via preventiva, anche il cruciale ballottaggio di martedì in Georgia per due seggi del Senato.

Non sarà una «graceful exit», quella di Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Nessuna uscita dignitosa per un presidente che ha mostrato di non accettare il processo democratico e che, nelle ultime ore alla Casa Bianca, continua anche a non ascoltare gli appelli contro la pena di morte che l’opinione pubblica americana fa sentire in maniera sempre più pressante. Se Biden ha apertamente dichiarato la sua posizione contro le esecuzioni, l’Amministrazione Trump ha accelerato le esecuzioni, dieci solo quelle federali da quando il repubblicano ha posto fine a una pausa di 17 anni. E ora potrebbe essere la volta di una donna.

Una Corte d’appello americana ha infatti dato il via libera all’esecuzione dell’unica donna in attesa nel braccio della morte. Lisa Montgomery è stata condannata alla pena capitale per aver strangolato nel 2004 una donna incinta nel Missouri prima di praticarle un cesareo e rapire il bambino. L’esecuzione era stata fissata per il mese scorso ma era stata accordata una sospensione. La data era stata quindi spostata al 12 gennaio, anche se i legali avevano fatto ricorso sostenendo che non si poteva fissare mentre la sospensione era ancora in vigore. La Corte aveva inizialmente dato loro ragione, ma un collegio di giudici ha ora rivisto la decisione, dando il via libera all’esecuzione, contro la quale i legali della condannata hanno annunciato ricorso.

L’ultima donna a essere messa a morte negli Usa è stata Bonnie Heady nel 1953 in Missouri, mentre è dello scorso 10 dicembre l’ultima esecuzione federale del 2020, quella di Brandon Bernard, coinvolto quando aveva 18 anni, nel 1999, nelle uccisioni di una coppia nell’Iowa. Il caso di Bernard è stata una rara esecuzione di una persona che era ancora adolescente quando il suo crimine è stato commesso: è stato il più giovane messo a morte dal governo federale in quasi 70 anni. Trump ha scelto di non fermare la sua esecuzione e la stessa Corte Suprema ha respinto la richiesta di un rinvio, nonostante restassero molti dubbi nella ricostruzione dei delitti.

Difficile ipotizzare che Trump si muova per fermare l’esecuzione di Lisa Montgomery, così come per altre due esecuzioni previste, quella di Cory Johnson il 14 gennaio e quella di Dustin Higgs il giorno successivo. Il repubblicano vede sfumare sempre più i suoi tentativi di restare aggrappato alla Casa Bianca. L’altra notte un giudice federale del Texas ha respinto anche l’azione legale del deputato repubblicano Louie Gohmert per costringere il vicepresidente Mike Pence a cambiare i voti del Collegio elettorale in seno al Congresso (al Senato sono una dozzina i repubblicani che intendono osteggiare la vittoria di Biden). Trump ha così iniziato a mettere in dubbio anche la correttezza del ballottaggio di martedì in Georgia («illegale e non valido») per due seggi da senatore, un voto cruciale per conquistare la maggioranza della Camera alta.

Le accuse senza prove di Trump sulla correttezza del voto rischiano però di confondere gli elettori repubblicani, chiamati a sostenere la rielezione dei senatori Kelly Loeffler e David Purdue. Lo stesso Trump terrà un comizio in Georgia domani. Se i due repubblicani saranno sconfitti, il partito di Biden avrà la maggioranza sia alla Camera che al Senato.

Per il democratico tra i primi capitoli spinosi ci sarà la questione Iran. Cade oggi il primo anniversario dell’uccisione del capo delle Forze di al-Quds, Qassem Soleimani, da parte di un drone Usa a Baghdad, e la tensione tra Washington e Teheran è ai massimi. Due B-52 americani di recente hanno sorvolato la regione mentre da novembre la portaerei Uss Nimitz pattuglia le acque del Golfo. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha accusato ieri Trump di voler creare «un pretesto per una guerra», temendo una potenziale «ultima mossa» del repubblicano. «Qualsiasi azione ostile da parte del nemico riceverà la risposta forte, decisa e reciproca dell’Iran», ha sottolineato da parte sua il comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Hossein Salami, secondo il quale Teheran è pronta a reagire.

(Avvenire)

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