19 Novembre, 2024
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Crepet: “Sarà una catastrofe, umanitaria e generazionale”

Il disagio e la paura del prossimo cresce soprattutto nelle città. Lo psichiatra: “È una resa, questa è una parte del mondo che si sta arrendendo. A che cosa non si sa”

“Sarà una catastrofe. Umanitaria e generazionale. A pagare di più il lockdown saranno le nuove generazioni, anche per la disillusione che ormai si sta diffondendo relativa ai ritardi con cui viene somministrato il vaccino. I tempi sono destinati ad allungarsi”. Lo dice all’Agi Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, commentando le notizie quotidiane di persone rifugiate in casa, paralizzate dalla paura del contatto con gli altri, spesso incapaci di portare a termine banali faccende domestiche. Succede in Italia e in tante altre città del mondo, difficile tenere la contabilità del disagio metropolitano causato dal Covid.

Fortaleza, Italia

È di oggi la storia di Barbie Furtado, 32 anni, residente a Fortaleza, in Brasile, città da 2,6 milioni di abitanti. La donna è in isolamento da oltre 265 giorni, terrorizzata alla semplice idea di mettere un piede fuori casa per fare la spesa, rivedere parenti ed amici. La nonna di Furtado e’ ricoverata dopo il contagio da Covid, quindi lei si sente in dovere di proteggere la madre e il fratello e il miglior modo per farlo, secondo lei, è non uscire. La storia è stata raccontata dal Washington Post.

L’emicrania e la stanchezza la accompagnano da mesi ormai, ma lei resiste, anche perché fuori non si può andare – “lui c’è ancora”, in riferimento al virus – e lei non si sente affatto pronta ad uscire dal suo rifugio casalingo.

Come lei, secondo dati ufficiali, fino all’8% della popolazione brasiliana impaurita è rimasta chiusa dentro casa per mesi, a prescindere dalla propria condizione socio-economica. I più ricchi e privilegiati hanno comunque avuto accesso ad ogni bene e servizio – dal cibo ai medicinali, passando per manicure e parrucchiera – pagando profumatamente. Gli altri hanno usufruito dei servizi di consegna a domicilio, ordinando lo stretto necessario pur di rimanere al sicuro tra le mura di casa.

Una situazione di apparente comfort che per molti si sta trasformando in una prigione, rendendoli sempre più impauriti alla sola idea di dover uscire, ipocondriaci in alcuni casi, dopo aver stravolto le proprie abitudini di vita. Una storia che arriva dall’altra parte del mondo, ma che somiglia a tante vissute ogni giorno nelle nostre città.

Paolo Crepet è anche autore di un recente saggio dal titolo “Vulnerabili”, pubblicato da Mondadori. Dice All’Agi: “C’è un disagio diffuso” anche perché “è tutto un intreccio di tradimenti di fiducia tra noi, lo Stato, la società e tutto questo comporta una grande angoscia, sofferenza”.  “C’è molto smarrimento perché tutto sembra davvero fatto da una persona sadica che progetta qualche cosa per far star male la gente”.

“Un’umanità cinica e spregiudicata”

Ma il virus è però concreto, contagia. “Certo – risponde lo psichiatra – prenda il caso della scuola. C’e’ questa continua sospensione. Prima si dice che si riapre il 7, poi no, il 12. Ma poi il 12 non andrà così, 50% o 75%? Poi la questione dei trasporti. Pensi essere un ragazzo oggi, c’è da impazzire”.

La situazione dei contagi è peggiorata, dice Crepet: “Anche perché abbiamo permesso a degli sciagurati di fare le feste, non solo in estate, ma anche a Capodanno. perché questo è successo alla fin fine. Ed è un problema mondiale. Cioè, dover far conto con un’umanità cinica e spregiudicata, indifferente, che se ne infischia di tutto e di tutti pur di partecipare al big party”.

Il risultato? “Che la parte più sensibile – risponde Crepet – paurosa, anche introversa – ma l’essere introversi non è una malattia – che non ce la fa a uscire metaforicamente e si chiude in un guscio, nel suo ghetto interno che poi corrisponde anche a un comportamento. È una resa, questa è una parte del mondo che si sta arrendendo. A che cosa non si sa”.

“Si chiudono soltanto le scuole”

Ai divieti, forse? “Ai divieti ma anche al fato. Non solo allo Stato, ai ministri o ai governatori. Credo sia un inginocchiarsi nei confronti di una sorte di destino cinico e baro”. Ma c’è il rischio di un guasto generazionale? Crepet la mette così: “È un guasto continuo. Non è solo una condizione, ma un processo di continua delegittimazione dei diritti dei ragazzi, dei quali non interessa a nessuno. Perché nessuno sta dicendo che il 7 gennaio si chiudono le fabbriche. Quello non è messo in discussione neanche lontanamente. In verità non si chiude nulla, solo le scuole. Persino gli uffici dell’anagrafe restano aperti. Gli adulti, tutti, sono collusi, in questa sorta di crimine terribile. Non dico che sia facile, ma una soluzione pensata ci dovrebbe essere”, dice il professore. Che aggiunge: “Oggi abbiamo scoperto che il piano vaccini includerà gli insegnanti tra tre mesi, se va bene, giusto per fare gli esami di maturità. Questo è il dato. E per i normali cittadini come noi, Dio solo sa quando. Tutto è sacrificato, soprattutto, in nome della produzione, certo. E di un tipo di produzione”.

“In una terapia online di qualche giorno fa, una mia giovane paziente mi ha detto: ‘Non ne posso più. Voglio rivedere i miei amici, voglio l’abbraccio della mia insegnante’. I danni psicologici sono quelli di un ritiro, e dopo sarà molto, ma molto difficile. Adesso già lo è, ma dopo lo sarà di più. E questa pandemia non si risolve con il vaccino. Il vaccino cura le cellule, non la nostra anima”.

È troppo tardi per le alternative? “In verità nulla è mai troppo tardi”, risponde Crepet, “ma non mi pare ci sia la fantasia, né il presupposto economico”. Soluzione? “Per i ragazzi riaprire le scuole” dice Crepet, “ripensare i trasporti con un mix di distanza e vicinanza. perché non si può negare la vicinanza”.

(Agi)

 

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