19 Novembre, 2024
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La premio Nobel: “Trump si comporta da golpista. Vuole la guerra civile”

Jody Williams, fondatrice della Campagna per il Bando delle Mine Antiuomo:

“Si muove come una persona che sa di avere scheletri nell’armadio che dalla Casa Bianca possono portarlo in un’aula di tribunale”.

“Quello di Trump è l’ennesimo atto eversivo di un golpista che cerca fino all’ultimo di usare il potere presidenziale per scatenare la guerra civile. La sua telefonata al segretario di Stato della Georgia va ben al di là dell’abuso di potere. Lui sa benissimo che nessun giudice si abbasserà al punto di essere suo complice. Non è questo che vuole. Queste continue provocazioni sono una chiamata alle armi dei suprematisti bianchi, dei fondamentalisti evangelici, di quel white power che Trump ha coperto e legittimato”.

A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a Globalist è una delle donne simbolo del pacifismo americano: Jody Williams, fondatrice della Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo (International Campaign to Ban Landmines), insignita del Premio Nobel per la pace nel 1997. “Trump – sostiene la Nobel per la pace statunitense – si muove come una persona che sa di avere scheletri nell’armadio di tale portata che dalla Casa Bianca possono portarlo in un’aula di tribunale”.

“E’ stato uno sfacciato, insolente, sfrontato abuso di potere da parte del presidente degli Stati Uniti”. Così la vice presidente eletta statunitense, Kamala Harris, intervenuta in Georgia a proposito della registrazione della telefonata, rivelata dal Washington Post, in cui Trump ha chiesto al segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, di “trovare” voti sufficienti per ribaltare l’esito delle presidenziali. Condivide la denuncia della vice presidente eletta?

In parte. Perché ritengo che quello compiuto da Trump sia un atto eversivo che va ben oltre l’abuso di potere e l’incitamento a mettere in atto brogli elettorali. Trump e i suoi fedelissimi sanno bene che non esiste un giudice, neanche il più conservatore, che possa abbassarsi a diventare complice di un attacco alla democrazia come quello che il golpista della Casa Bianca sta portando avanti. Non sono i giudici né qualche governatore reazionario repubblicano i veri destinatari dei messaggi eversori di Trump…

E chi sono i veri destinatari?

E’ l’America del suprematismo bianco, sono le frange più estremiste e militante dell’elettorato trumpista. Sono i miliziani di quel white power che Trump non ha solo coperto e legittimato, ma addirittura esaltato. Lui vuole destabilizzare il sistema, innescare una guerra civile. So di usare parole forti, ma è bene guardare la realtà per quella che è. Trump si sta preparando a una guerriglia politica che s’intensificherà dopo il 20 gennaio, quando Biden s’insedierà alla Casa Bianca. Di certo non si farà da parte.  Userà i 70 milioni di voti ricevuti come un’arma di ricatto verso l’amministrazione democratica. Lui non cerca una rivincita tra quattro anni, lui pretende l’impunità oggi, perché sa bene che una volta diventato un ex presidente i dossier che ha cercato di occultare, abusando delle sue prerogative presidenziali, verranno tirati fuori, con tutto ciò che , sul piano giudiziario, questo potrà determinare.

Il consigliere del presidente eletto Joe Biden, Bob Bauer, ha condannato la telefonata di Trump. La registrazione, ha detto Bauer, è una “prova indiscutibile” nelle pressioni e delle minacce nei confronti di un ufficiale del suo stesso partito, perché “annullasse un voto legittimo e certificato e ne creasse un altro al suo posto”. La telefonata, ha aggiunto, “coglie l’intera e sfortunata storia dell’attacco di Trump alla democrazia americana”.

E’ importante che Biden non porga l’altra guancia, ma usi parole chiare e forti per mettere in guardia l’opinione pubblica americana rispetto al senso e agli obiettivi eversivi di un uomo che non accetta la sconfitta. Nel vocabolario politico, alquanto limitato, di Trump non esistono parole come “compromesso”, “correttezza”, “dialogo”. La telefonata di cui stiamo parlando non fa che confermare quanto avevamo detto in una nostra precedente conversazione. .Per esistere politicamente, Trump ha bisogno del Nemico esterno e interno contro cui scagliarsi e indirizzare l’odio dei suoi seguaci. Lui ha legittimato l’odio razziale, ha “sdoganato” i suprematisti bianchi, che hanno seminato morte e terrore in America più di quanto abbia fatto il terrorismo jihadista. Ha radicalizzato lo scontro, ha spaccato il Paese, ha demonizzato le minoranze, ha giustificato crimini orribili come quello commesso da poliziotti ai danni di George Floyd (l’uomo afroamericano ucciso il 25 maggio durante un arresto a Minneapolis,ndr), ha affrontato in modo scellerato il coronavirus, si è spinto a ripetute esternazioni golpiste. Trump non ha nulla del conservatore vecchio stampa. E’ un populista della peggior specie, che ha saputo cogliere un profondo malessere sociale, soprattutto nelle fasce più disagiate e meno acculturate della popolazione bianca, trasformando quel malessere in odio verso i migranti, le minoranze ispanica e afroamericana, additate da Trump come gli untori della purezza americana, oltre che criminali potenziali e nemici dell’America first. E non è un caso che a livello internazionale, abbia manifestato il suo apprezzamento per leader di una destra parafascista come Bolsonaro e Orban, e manifestato sostegno e ammirazione per autocrati che hanno riempito le carceri di decine di migliaia di oppositori, come Erdogan o al-Sisi, o avallato il colonialismo del suo amico Netanyahu in Palestina. Il 20 gennaio la maggioranza degli americani tirerà un sospiro di sollievo, ma guai ad abbassare la guardia: la minaccia-Trump non finisce con la sua uscita dalla Casa Bianca.

Domani in Georgia si tiene una decisiva doppia elezione senatoriale, con due ballottaggi in gioco. Segnata dalla schiavitù e dalla segregazione, la Georgia ha visto la nascita e la morte di diverse figure di spicco nella lotta per i diritti civili degli afroamericani, da Martin Luther King a John Lewis. Ma questo stato del sud non ha mai eletto un senatore nero e non manda un democratico alla Camera alta da vent’anni. I candidati democratici quindi partono dalle retrovie in Georgia. Eppure su di loro ricadono le speranze del partito e di Joe Biden. Se riusciranno a realizzare la doppia impresa, i democratici Raphael Warnock e Jon Ossoff porteranno la Camera alta dalla loro parte, assicurando tutte le “leve” del potere al presidente eletto. Con 50 seggi ciascuno per repubblicani e democratici, il futuro vicepresidente Kamala Harris avrebbe il potere di decidere tra i votanti, e quindi di far pendere la bilancia dalla parte democratica al Senato, oggi a maggioranza repubblicana. Joe Biden arriverebbe così alla Casa Bianca con una Camera dei Rappresentanti e un Senato democratici, scenario che gli permetterebbe di applicare il suo programma.

Sarebbe la quadratura del cerchio. Hai descritto perfettamente cosa sia la Georgia, ma è anche vero che Warnock e Ossoff hanno delle chance di vittoria. I sondaggi danno i candidati testa a testa. Certo, sulla carta i repubblicani sono i favoriti in questo Stato che da sempre considerano una loro roccaforte inattaccabile. Ma il 3 novembre Biden ha battuto Trump in Georgia, la prima dal 1992. Insomma, il risultato non è scontato. Molto dipenderà dalla mobilitazione dell’elettorato afroamericano, che ora sfiora il 30 per cento. Spero che lo slogan, efficace, “Black Voters Matter”: gli elettori di colore contano, faccia centro nelle urne. Ma Joe Biden e Kamala Harris, che avrà un ruolo cruciale nei quattro anni di presidenza, visto che Biden, per questioni anagrafiche, non sarà in corsa per un secondo mandato, dovranno essere capaci di agire sulle divisioni che si stanno manifestando all’interno del campo repubblicano, e degli stessi eletti. Ad una minoranza di irriducibili pro-Trump, vi è una parte, forse maggioritaria, che guarda oltre a Trump e che non sembra disposta a fare barricate. Staremo a vedere. L’importante, ripeto, è non abbassare la guardia. Trump rimane un pericolo per un’America che vuole voltare pagina.

(Globalist)

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