30 Dicembre, 2024
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Calabria, la carica degli aspiranti governatori in lite con Roma.

“Decide il territorio, basta imposizioni”

In pista da Morra a De Magistris. Si torna a eleggere il presidente e nuovo consiglio l’11 aprile e ai vertici romani c’è anche chi accarezzerebbe l’idea di un eventuale nome condiviso dall’alleanza giallorossa

Stavolta basta imposizioni, chiede il territorio. Vietato sbagliare il candidato, replicano da Roma. Si profila la primavera cruciale per la Calabria, che sta attraversando un suo doppio limbo, oltre a quello delle percentuali in salita del contagio, che potrebbe già spingerla, nelle prossime ore, in zona arancione.

Ma sono le tensioni e i latenti conflitti che spaccano parallelamente Pd e M5s a tenere banco, nella regione che ha vissuto il suo anno più cupo: tra l’allarme Covid gestito da una rete assistenziale allo sbando, il caos dimissioni dei tre commissari alla Sanità e soprattutto la prematura scomparsa della neoeletta Jole Santelli.

Si torna dunque a eleggere governatore e nuovo consiglio l’11 aprile – per decreto firmato ieri dal presidente facente funzioni, Nino Spirlì – e ai vertici romani c’è anche chi accarezzerebbe l’idea di un eventuale nome condiviso dall’alleanza giallorossa: anche se ormai qualunque ragionamento, ammette un autorevole esponente dem, “si deve fare con un occhio rivolto a Palazzo Chigi, a quello che può accadere lì”. Lo scenario è complesso, pesano i rifiuti di nomi importanti (hanno lasciato cadere ogni avance, almeno per ora, sia l’ex ministro Pd Marco Minniti, sia il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri). E il tam tam coinvolge ora anche aspiranti governatori esterni. Si fanno avanti le ipotesi del sindaco di Napoli Luigi de Magistris; o del presidente della Commissione bicamerale antimafia Nicola Morra: calabrese d’adozione sì, ma così poco allineato alle convenienze di bandiera da aver confessato, un anno fa, di non aver votato per il candidato 5S.

Intanto lo stesso Pd locale, in mano al commissario inviato da Zingaretti, il casertano Stefano Graziano, si ritrova da ieri a gestire la “domanda” di riabilitazione politica di Mario Oliverio: l’ex governatore è stato appena assolto (“il fatto non sussiste”) al termine del giudizio con rito abbreviato dal Gup di Catanzaro nel giorno del suo compleanno, il 4 gennaio, dalle accuse di corruzione e abuso d’ufficio, a fronte di una richiesta di condanna a 4 anni e 8 mesi avanzata dalla Procura. Vengono prosciolti dalle accuse a breve distanza, ma in sede di udienza preliminare, anche la deputata Pd Enza Bruno Bossio e il marito, l’ex consigliere regionale Nicola Adamo. Oliverio, a fronte di quelle contestazioni, aveva dovuto abbandonare l’idea del mandato bis: ieri incassa la “soddisfazione” del partito attraverso le parole chiare ma misurate di Graziano. Ma a chi, tra i fedelissimi dell’allora presidente, chiede una nuova e più equanime analisi sulla sua esperienza, arriva la gelida risposta degli zingarettiani: di rinnovamento c’era bisogno prima e c’è bisogno adesso. Come a dire: Oliverio per 40 anni ha rivestito cariche importanti, da sindaco del suo paese, a presidente di Provincia e Regione passando per  quattro elezioni da deputato. Un distinguo tutto politico, e non giudiziario. Versante quest’ultimo che, comunque, non appare del tutto risolto: viste le altre tre inchieste che pendono a carico dell’ex governatore.

Così l’appuntamento che, tra Catanzaro e Reggio – sede rispettivamente del Presidente e dell’assemblea regionale – apre le prime significative urne dell’anno diventa anche una data simbolo (oltre che termine spartiacque, per chi è inquietato dagli scricchiolii sempre più vistosi della maggioranza di governo). La Calabria è una trincea che può definitivamente staccarsi dall’Europa o salvarsi: è l’argomento che agitano a destra o a sinistra. E mentre il tavolo di tutta la coalizione di centrosinistra locale decide che il candidato tocca al Pd, che pensa ai nomi di Nicola Irto, il più giovane e votato del partito reggino, o al deputato Antonio Viscomi,  sulla scena compaiono anche quei nomi outsider.

Da Napoli, sembrerebbe scaldare i muscoli a bordo campo de Magistris, ormai allo scadere del suo secondo mandato come sindaco. L’ex pm prima ha alzato le mani: “Non c’è nulla di definitivo, sento una fascinazione folle, un po’ come era stato con la sfida vinta nella mia città, dieci anni fa, da solo contro tutti. Quindi valuterò, perché la Calabria è la mia seconda terra, anche se qui sono stato anche ferito”, alludendo alle polemiche e ai processi legati alla sua attività di sostituto procuratore a Catanzaro. Poi, però, solo qualche giorno fa, de Magistris partecipa in collegamento on line ad un convegno sul futuro della regione, organizzato dal gruppo ‘Confronti a 5 stelle per il Sud’ e dal movimento ‘La Strada’. E va più a fondo nella premessa di gioco: “Se c’è la volontà di mettere in atto un passaggio rivoluzionario, questo merita la massima e attenzione e, per quanto mi riguarda, per quello che posso fare, darò sicuramente il mio contributo da uomo di giustizia”, conclude. Il passaggio allarma alcuni esponenti locali del Pd che, convinti dello zampino di qualche sponsor romano, scrivono a Zingaretti per avvertirlo che non accetteranno “stavolta” di essere “colonizzati”. Come fa il capogruppo dem a Palazzo Campanella, Mimmo Bevacqua, seguito da altri consiglieri e dirigenti: “Caro segretario, è il momento che la Calabria torni in mano ai calabresi, che si riprendano la responsabilità”.

Parallelamente, ma spingendo più a sud l’idea del laboratorio tra dem e pentastellati, si fa strada l’idea di Morra che potrebbe lasciare il posto di presidente a Palazzo San Macuto, sempre che si possa sommare il patto delle due forze di maggioranza al voto d’opinione, in una terra desiderosa di liberarsi tanto dagli intrecci tra mafie e massonerie, quanto dagli odiosi stereotipi. “La scelta di Morra potrebbe essere la classica operazione win-win, in cui Pd e 5S ricaverebbero un vantaggio su entrambi i fronti”, è il ragionamento degli sherpa romani. Nella capitale si libererebbe infatti una casella importante, in vista di un probabile rimpasto di governo, e si riavvierebbero i lavori in Antimafia, dopo il blocco delle opposizioni in segno di protesta per le controverse dichiarazioni di Morra a proposito della presidente Santelli; dall’altro lato, in Calabria, si cercherebbe l’unione intorno ad un profilo spiccatamente antimafia. Disegno che, però, cozza con i mal di pancia della base 5S. Che non dimentica, un anno dopo, l’opposizione di Morra al candidato prescelto, col Movimento in caduta libera al 7 per cento, che non è riuscito ad entrare in consiglio regionale. “La Calabria ha una legge elettorale tutta sua – avverte un anziano ex segretario della sinistra calabrese – in cui non c’è il voto disgiunto e c’è lo sbarramento all’8 per cento al di fuori della coalizione”. Quindi? “Quindi, i nomi mediatici contano assai meno di quel che si pensi”. Decide la Calabria, basta imposizioni. È l’unico spot già in campo.

(La Repubblica)

 

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