23 Novembre, 2024
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Il caso. Il rischio di una crisi del debito privato

Draghi ha avvertito che “siamo sull’orlo del precipizio” per l’alto livello di indebitamento globale rispetto al Pil. E c’è lo sfasamento che si allarga tra Borse ed economia reale

Cassandra si è fatta la reputazione di essere una menagramo. Ma – ci insegnano le storie – aveva visto giusto. L’anno si apre con molta (e doverosa) attenzione sul debito della pubblica attenzione che dovrebbe comunque dovrebbe fruire della protezione della Banca centrale europea(Bce), tramite il Pandemic emergency purchase program (Pepp) almeno sino al marzo 2022.

Ce ne è meno su una possibili crisi finanziaria (non solo italiana ma di gran parte dei Paesi Ocse) innescata da due determinanti: a) l’indebitamento “privato” (di famiglie, banche ed imprese) e b) il crescente divario tra andamenti delle Borse ed economia reale.
In merito alla prima, il co-presidente del “gruppo dei trenta” (un’associazione di consiglieri di governi, istituzioni internazionali e imprese), Mario Draghi ha detto, nel presentare l’ultimo rapporto del “gruppo”, che «siamo sull’orlo del precipizio» a ragione dell’alto livello dell’indebitamento (circa il 300% del Pil). Il rapporto ha dieci proposte specifiche; a) dare priorità alla crisi delle imprese; b) ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche per aiutare le economie ad uscire dalla crisi; c) adattarsi alla nuova realtà invece di tentare di preservare lo status quo; d) utilizzare l’intervento pubblico solo in caso di alti costi sociali e evidenti “fallimenti di mercato”; e) impiegare il più possibile l’esperienza del settore privato per ottimizzare l’allocazione delle risorse; f) trovare un equilibrio tra obiettivi nazionali ed esigenze di settore; g) minimizzare il rischio per i contribuenti; h) attenzione ai pericoli di “azzardo morale”, i) ottimizzare la tempistica degli interventi; i) anticipare effetti non desiderati e tamponarli.

Il rischio di una crisi innescata dall’indebitamento del settore privato viene aggravato da quella che il Financial Times chiama “The Great Disconnect”, ossia la grande sfasatura tra mercati finanziari ed economia reale. Secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), il Pil mondiale ha subito una contrazione del 4,5% circa (quello dell’Italia quasi del 13%), ma i mercati finanziari, altalenanti per buona parte degli ultimi 12 mesi, chiudono con aumenti significativi della valorizzazione delle loro quotazioni: negli Stati Unti, il cui Pil si è contratto del 5% circa, l’indice Standard & Poor 500 riporta aumento complessivo di oltre il 14% e il Nasdaq di oltre il 40%. Dal 1990 il valore delle azioni nel mercato degli Stati Uniti è aumentato di ben sei volte, mentre il Pil Usa è raddoppiato. Avvertimenti di pericoli su questo fronte vengono anche dal Premio Nobel Robert Shiller.

Interessanti, le proposte dell’economista austriaco, Kurt Bayer, il quale dopo una carriera accademica in Austria è stato consigliere d’amministrazione sia della Banca mondiale (Bm) sia della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers): le autorità di regolazione, quali la nostra Consob: possono impedire operazioni arrischiate che, in una fase come l’attuale, alcuni operatori sono indotti a fare: «Imporre un adeguamento dei libri contabili per le imprese quotate in modo che il valore delle attività rispecchi quello “di sostituzione”, ossia il prezzo di mercato». È una proposta che molte imprese avranno difficoltà ad accettare.
Cosa possono fare i governi, già alle prese con la pandemia e con il conseguente aumento del loro indebitamento? Studiare, e se del caso attuare (auspicabilmente su base Ocse ed Ue) suggerimenti innovativi, la cui attuazione non sarà comunque immediata, e soprattutto trasmettere fiducia, tenendo la barra dritta, in una fase così incerta per tutti.

(Avvenire)

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