Poche contestazioni, gli applausi sono per Liliana Segre
Il presidente del Consiglio rilegge a Palazzo Madama, con qualche inciso, il discorso pronunciato già alla Camera.
Parte qualche fischio e un accenno di coro, ma dura poco
Una sola scampanellata, un solo richiamo all’ordine, tre, quattro contestazioni. L’arbitro di Palazzo Madama, la presidente Elisabetta Casellati, magari si aspettava più interruzioni, cori tipo “Mastella, Mastella”, l’esibizione di cartelli e striscioni. E invece quasi nulla. Qualche fischio alla fine del discorso e un accenno di coretto. “State seduti – dice la presidente – non si riesce ad individuare chi fischia sotto la mascherina”. Come se tutta la rabbia e l’avversione del centrodestra si fosse espressa nel catino di Montecitorio. Applauso vero, intenso, è invece quello che accoglie la senatrice a vita Liliana Segre quando entra in aula. La saluta per tutti Pier Ferdinando Casini che stava annunciando il sì al governo, ma non senza risparmiare critiche a Conte, al suo metodo e alle sue scelte.
Giuseppe Conte arriva al Senato in leggero ritardo. Sono le 9.36. Prima che inizi a parlare tutti in piedi per ricordare Emanuele Macaluso. Il presidente del Consiglio prende la parola alle 9.41. Finirà alle 10.45. Parla in mezzo agli angeli custodi Dario Franceschini e Alfonso Bonafede. Il discorso è la replica di quello di ieri alla Camera. Con in più qualche inciso. Tutto noto e quindi il primo applauso, tiepido, arriva dopo un po’, quando cita il cambio di direzione europeo, le nuove politiche di Bruxelles.
Applauso anche quando punta l’indice contro “chi dissemina mine sul percorso del governo. Non si può cancellare quello che è accaduto”, riferendosi a Matteo Renzi e al suo partito che tuttavia non nomina mai. Parla e accompagna le parole con ampi gesti della mano sinistra. Ogni tanto guarda i senatori che gli devono riconsegnare o togliere le chiavi di Palazzo Chigi e spera. La Borsa apre in territorio positivo, il famigerato spread da un po’ scomparso dalla scena concede un buon segnale e scende.
Nell’aula ascoltano. Quelli che voteranno sì. Quelli che voteranno no senza dubbi, seduti a destra e pronti a dare battaglia. Stanno buoni per un po’ e si risvegliano solo quando il premier parla del suo disagio di fronte alle vittime della pandemia. Ascoltano quelli che stanno, o starebbero, in mezzo al guado. Ascoltano perché poi decideranno.
Mario Monti, per esempio. Il senatore a vita apprezza la svolta europeista di Conte. Ascolta e alla fine, dopo un breve discorso-lezione, annuncia il suo voto favorevole a Conte. E voterà così anche Liliana Segre che ha voluto esserci. Si sa, Matteo Salvini e il centrodestra non hanno mai amato i senatori a vita, soprattutto quando votano la fiducia a governi diversi da quelli del centrodestra. E allora il leader della Lega ricorda subito che lui da sempre li vuole abolire.
Ascolta Gregorio De Falco, quello che ordinò a Schettino di tornare a bordo della Costa Concordia abbandonata in mezzo al Tirreno. Ascolta il premier, voterà sì, convinto dagli impegni sulla vaccinazione contro il covid. Paola Binetti, Udc, indicata fra i possibili nuovi sostenitori e possibile ministra della Famiglia, intanto dice che no, non voterà per Conte. Oggi. Ma poi cita Lorenzo de’ Medici e il suo verso “del doman non v’è certezza”. Verso composto per il carnevale del 1490 e cantato a Firenze da un “trionfo”, un corteo di maschere mitologiche. Vorrà dire qualcosa questa citazione colta?
Voterà sì Tommaso Cerno, eletto dal Pd, amico di Matteo Renzi, finito all’opposizione nel Misto e ora di nuovo convinto dal presidente del Consiglio. Italia viva si dovrebbe astenere e restare unita: “Siamo come una testuggine” fa sapere Davide Faraone. Faraone però sta in gruppo solo perché Riccardo Nencini ha messo a disposizione il simbolo del Psi. Parla Nencini. Ma come voterà? Non lo dice. Si lancia però in una difesa di Depretis. Non Loredana, capogruppo del Misto, sinistra sinistra. Evoca Agostino, comunemente indicato come il capostipite dei trasformisti italiani. Ma se sta ancora con Renzi o Conte non lo dice. Ci ricorda invece la Prima Repubblica, i governi balneari, quelli ponte o quelli della non sfiducia.
“Penso che al Senato vedremo altre novità. Ad esempio, alcuni senatori di Italia Viva credo voteranno diversamente dalle indicazioni del proprio gruppo, che ha deciso di astenersi”, profetizza invece il deputato Pd Andrea Romano. Vota no sicuramente Matteo Richetti, ex Pd approdato ad Azione di Carlo Calenda ora alleato di Emma Bonino; pronta anche lei a bocciare, ribocciare, Conte. E quando prende la parola, osservata con attenzione da Segre, seduta vicino a lei, lo riboccia. E per riassumere, ben coperta per motivi di salute, cita la mamma sulla differenza fra il il dire e il fare.
Nel centrodestra la Lega vuole votare. Fratelli d’Italia pure. Il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni, in contemporanea a Conte, grida in tv al “mercimonio”. In aula Alberto Balboni cita Carl Schmitt, dice che Conte ha la “forma dell’acqua”, evocazione di un romanzo di Camilleri, e conclude con la contrapposizione fra l’aquila e l’anatra zoppa, che sarebbe Conte.
Maurizio Gasparri, intanto, produce battute a getto continuo: “Conte non so se troverà qualche palazzinaro. I palazzinari sono quelli che si credevano costruttori e poi hanno fatto delle casette abusive: è così che sono entrati nella storia economica d’Italia. Ecco, ieri alla Camera c’è stata una palazzinara. Ma non credo che dal Quirinale arriveranno licenze edilizie”, dice con un pensiero affettuoso alla ex azzurra Renata Polverini.
Forza Italia cerca di marcare il territorio. I veri liberali ed europeisti siamo noi, dice Gabriella Giammanco. Ma il partito si porta avanti con il lavoro e Antonio Tajani, il vice di Silvio Berlusconi, mette le cose in chiaro: “Se ci saranno consultazioni al Quirinale andremo da soli”. Dunque, non ci sarà il replay del Cavaliere che, durante l’ultima crisi, scandisce al Quirinale con le dita i punti del comunicato comune letto da Matteo Salvini. Parole che fanno pensare a nuove strategie di Berlusconi, magari interessato dalle aperture di Conte sulla legge elettorale.
E i grillini? Sono schierati tutti con Conte. Parlano e dicono sì senza remore. E picchiano duro su Renzi. Il senatore Gianluca Ferrara si inventa anche un modo diverso di attaccare il leader di Italia viva. Cita Dante Alighieri, la Divina commedia, l’Inferno, l’Ottavo cerchio, la nona Bolgia. Là dove soffrono eternamente, squartati dalla spada di un diavolo, e risanati per essere nuovamente squartati, “i seminatori di scandalo”. Nel senso nedievale di fomentatori di divisioni.
Affonda a piene mani nella storia anche il forzista Andrea Cangini. Giornalista di lungo corso, fa un paragone fra il premier Conte e Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, principe di Benevento. Un diplomatico prima al servizio dei re di Francia e poi ministro degli Esteri con Napoleone. Un trasformista delle feluche. Ecco, dice Cangini, a lei e al suo discorso, presidente, si attaglia bene questa frase di Talleyrand: “Le persone parlano spesso proprio per non dire, per celare la verità”.
Il microfono passa a un altro giornalista. Primo De Nicola, grillino. Anche lui, come Cangini, ex direttore di un quotidiano, anni e anni passati nei giornali. E anche lui si lancia in un paragone letterario per attaccare Renzi. Cita Wolfgang Goethe e la sua ballata L’apprendista stregone. Storia di un giovane studente di magia che lasciato solo dallo stregone sfrutta un incantesimo per far fare le pulizie ad una scopa. Che però non sa più fermare perché non conosce la parola magica per fermarla. La spezza in due, ma raddoppia i danni e gli allagamenti. E con questo benaugurante paragone per il leader di Italia viva, incapace di domare gli spettri che ha scatenato, si chiude la seduta e la prima parte della discussione generale. Incombe la sanificazione dell’aula. E il meritato pranzo.
(La Repubblica)