Oggi è il centenario della nascita del Partito Comunista Italiano, evento ricordato da tantissimi politici, di tutti i campi, e commentatori
“Le Agorà” organizza oggi, 21 Gennaio 2021, un evento online a cui è possibile partecipare collegandosi al link sotto riportato:
Gio 21 Gen alle 17:30 CET Evento online
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Riportiamo le considerazioni di Sergi Gentili, dirigente del PCi, poi PDS, DS e infine parlamentare del Partito Democratico. e’ l’introduzione al suo libro recentemente pubblicato
Sergio Gentili
Introduzione
Ricorrenza
A cent’anni dalla nascita del Partito comunista italiano (Pci) e a trent’anni dal suo scioglimento, si è pensato di raccontare la storia dei suoi primi decenni di vita che vanno dal 1921 al 1945. Poi sarà la volta della sua storia nella Repubblica ita- liana. Qui raccontiamo il Partito comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale comunista (Ic), che chiameremo Pci.
Ma chi erano questi comunisti e cosa volevano fare? Cosa hanno realizzato per il loro paese e per i lavoratori italiani? Cosa sono stati nel movimento comunista interazionale?
Parlare del Pci significa anche rileggere la storia dell’Italia e del mondo con gli occhi di oggi e trovare qualche suggerimento, se non un insegnamento, per individuare nuove soluzioni alla crisi del liberismo e alle insufficienze del liberalismo democratico e, soprattutto, per far uscire dallo smarrimento le forze socialiste.
La storia del Pci è unica, irripetibile e testimonia che è stato possibile per i lavoratori e le forze popolari avere un proprio partito, impegnato nella costruzione di una società democratica fondata sulla saldatura di valori socialisti, democratici e solidali quali l’eguaglianza, la libertà, i diritti sociali e civili e il rispetto della dignità della persona umana. Un partito che ha pensato agli italiani come un popolo
di pace, unito e interessato all’eliminazione della povertà e dello sfruttamento del lavoro. A veder bene, sono proprio queste le coordinate valoriali necessarie per superare l’attuale crisi globale acutizzata dalla pandemia. Perché appare evidente che la società fondata sul libero mercato e sull’individualismo non è all’altezza della situazione: semplice- mente, oltre a essere ingiusta e dannosa per l’ambiente, non funziona. È proprio sull’individuazione di nuove vie per la costruzione di società non fondata sull’egoismo individuale, su enormi diseguaglianze e sullo sfruttamento della natura e del lavoro che la conoscenza e la riflessione sulla storia del Pci possono essere d’aiuto, anche a chi pensa che le parole di uguaglianza, solidarietà e carità di papa Francesco debbano diventare realtà.
Il racconto
L’intento del libro è contrastare con la divulgazione l’oblio, le deformazioni e la sistematica cancellazione dei comunisti dalla storia d’Italia. La faziosità e le fake news del revisionismo storico fanno oggi i conti, per fortuna, non solo con autorevoli avanguardie intellettuali ma anche con un “nemico” inaspettato: quella memoria popolare tornata in auge anche grazie ai social network e radicata nelle storie di famiglie e organizzazioni capaci di tramandare valori, lotte collettive e personali. Esse costituiscono un tratto incancellabile dell’identità degli italiani.
Il racconto si sviluppa lungo un duplice asse di ricerca. Il primo riguarda il carattere rivoluzionario del Pci; il secondo traccia un bilancio della sua azione rispetto alla storia d’Italia e alle condizioni sociali e politiche dei lavoratori e delle masse popolari. Si parla anche del suo rapporto con il movimento comunista internazionale, permanentemente segnato
dalla rivendicazione di una “specificità” italiana, tanto da determinare un “oggettivo e congenito” conflitto con l’Internazionale comunista. È un rapporto fondamentale perché non è possibile separare la nascita del Pci dall’attrazione ideale e politica rappresentata dalla Rivoluzione russa del 1917. Per questo, ai primi vent’anni di vita dei comunisti italiani sono intrecciate le vicende dell’Ic e le lotte interne al partito comunista bolscevico, protagonista di enormi trasformazioni sociali ma anche delle inimmaginabili degenerazioni staliniane.
Il piccolo Partito comunista nasce per dirigere la presunta rivoluzione in atto, ma viene immediatamente travolto dal fascismo ed è costretto alla semilegalità e all’illegalità per de- cenni. Nel corso della lotta antifascista il Pci avrà la capacità di modificare se stesso, la sua visione strategica, la sua azione politica e la sua organizzazione.
I suoi dirigenti non si piegheranno mai davanti al fascismo anche se per molti di loro significherà il carcere, il confino e la morte. In questa lotta perderà il suo capo politico e culturale, Antonio Gramsci, assassinato nelle carceri fasciste. È proprio Gramsci che per primo lotterà per superare il settarismo e per promuovere un’idea di rivoluzione socialista che colloca l’atto insurrezionale in un movimento di massa politico e sociale diretto dalla classe operaia in alleanza con i contadini.
Era l’impostazione di Lenin che, però, dopo la sua morte verrà sostituita con schemi dogmatici che ritenevano la rivoluzione sempre a portata di mano. Il nazismo sarà uno tsunami che costringerà l’Ic a rovesciare velocemente le sue precedenti analisi e le sue strategie politiche. Il cambiamento avviene al VIICongresso (1935) dell’Ic, dove tutti i partiti comunisti vengono chiamati all’abbandono della scellerata tesi del “socialfascismo” e al rilancio del fronte unico tra co- munisti e socialisti, alla costruzione di un fronte popolare.
oltre il modello bolscevico
La politica dei fronti popolari spinge verso l’individuazione di nuove vie per la rivoluzione socialista in Occidente. Ma quale è la nuova strategia? È una domanda mai resa esplicita ma su cui in molti nell’Ic ragionano.
È in questa necessità di lotta al fascismo che irrompe nella politica e nella cultura dei comunisti il concetto della democrazia, ritenuto indispensabile per combattere il “nemico principale”. Ma, indicare la democrazia come un obiettivo irrinunciabile porta con sé conseguenze enormi nella cultura politica e nella visione strategica.
Nella nuova fase che si è aperta nell’Ic i comunisti italiani sono presenti e protagonisti. Infatti sono loro a formulare la definizione più adeguata del fascismo come “regime reazionario di massa” fondato sulla saldatura tra la piccola e media borghesia in crisi e gli interessi degli agrari e della grande borghesia industriale e finanziaria.
Per il Pci spetta alla classe operaia saldare insieme democrazia, diritti e sradicamento delle radici sociali e culturali del fascismo.
Palmiro Togliatti e i comunisti italiani sono sostenitori della nuova politica. Diversamente la pensano Stalin e molti altri dirigenti dell’Ic che, viceversa, ritengono la fase democratica una proposta tattica utile solo per quel momento.
Cosa ha fatto il PCI per il popolo italiano
Il dato che emerge nel ripercorrere le vicende del Pci e del suo pensiero politico è l’intreccio tra le innovazioni teorico-politiche e il concreto procedere storico della lotta nazionale e internazionale. Il mutamento del quadro internazionale, con l’alleanza tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Urss, dà l’occasione ai comunisti italiani di diventare un fattore determinante nelle vicende nazionali.
La massiccia presenza nella Resistenza con la direzione di Longo e la straordinaria iniziativa politica della Svolta di Salerno fanno dei comunisti un soggetto fondamentale per la Liberazione e la rinascita democratica dell’Italia.
Senza la politica unitaria dei comunisti, la lotta partigiana e la collocazione delle forze antifasciste e di sinistra al governo, come pure la nascita della Repubblica e dell’avanzatissima Costituzione, non ci sarebbero state. Questo è il lascito straordinario dei comunisti agli italiani.
La loro politica ha legittimato i lavoratori e le forze popolari quali nuove classi dirigenti. Ai comunisti spetta il me- rito di aver rivendicato e praticato con successo il diritto di liberare il Paese, al contrario delle classi alte e della grande borghesia, compromesse col fascismo, che hanno “atteso” di essere liberate da stranieri. La linea dell’unità antifascista ha permesso di contrastare le forze reazionarie che, sostenute dagli angloamericani e dal Vaticano, si candidavano a dirige- re l’Italia dopo la Liberazione con lo scopo di rifare l’italietta monarchica; di ripristinare le classiste gerarchie sociali e politiche; di instaurare l’elitaria democrazia prefascista che era stata l’incubatrice del fascismo.
I comunisti rivoluzionari e patrioti
Il ritorno di Togliatti in Italia (marzo 1944) ha dato all’azione politica comunista una visione generale. In quella fase non tutti condividevano la politica di unità nazionale, tuttavia essa era accettata per il grande prestigio della Russia e di Stalin, di cui Togliatti appariva, non solo ai loro occhi, il più vicino.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, il Pci conta circa due milioni di iscritti ma i suoi quadri dirigenti sono ancora pochi e non tutti preparati alla nuova fase politica. Nella base comunista c’è chi crede che la via democratica sia una tattica momentanea, rivelando così una sorta di “doppiezza” strategica.
Sono gli anni in cui arrivano al Pci nuove leve spinte dall’esigenza di libertà, di eguaglianza sociale e di democrazia.
Togliatti lancia la proposta di costruire il “partito nuovo” cioè una grande comunità organizzata con milioni di lavora- tori, di forze popolari, di donne, di giovani e di intellettuali in grado di sostenere lotte democratiche e sociali, culturali e politiche. Un partito che formerà nuove classi dirigenti portatrici dei valori costituzionali e dell’idea di politica come servizio civile disinteressato.
Guardando le cose oggi, appare evidente che in quegli anni c’è stata, in Italia, una vera rivoluzione. L’Italia da monarchico-fascista, da regime senza libertà e diritti, sotto- messa a un re e a un dittatore, dominata da un solo partito, impregnata di razzismo e di culture guerrafondaie, percorsa dalla violenza e dal meschino conformismo, è diventata una Repubblica democratica fondata sul lavoro: i cittadini hanno potuto partecipare e scegliere liberamente la Repubblica, i propri partiti e rappresentanti; le donne hanno ottenuto il diritto al voto; la Costituzione ha incardinato la democrazia sui valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della libertà, dei diritti sociali e civili e della pace; si è definito lo Stato di diritto e il Parlamento ha assunto il valore centrale che gli spetta; i partiti e i sindacati sono stati riconosciuti come essenziali per la partecipazione e la libertà dei cittadini; la proprietà pubblica e privata è soggetta all’interesse generale.
Ma la loro applicazione sarà per molti anni fortemente contrastata e ritardata dai governi democristiani. Comunque, sono conquiste straordinarie per tutto il popolo italiano e introducono rotture innovative di fondo rispetto allo stesso Risorgimento. Esse sono il frutto di un nuovo tipo di
rivoluzione democratica elaborata dal Pci e realizzata con la politica di unità tra i partiti di massa d’ispirazione socialista e le correnti del cattolicesimo sociale.
Conquiste che negli anni seguenti il Pci e la sinistra dovranno difendere con la lotta dalle politiche di restaurazione conservatrice e reazionaria operate dalla Dc nel 1947.
Allora chi sono quei comunisti verso cui le italiane e gli italiani devono essere grati?
Sono operai, contadini, intellettuali, giovani e donne che nel 1921 fondarono il Partito comunista d’Italia, un’avanguardia politica decisa a combattere le disuguaglianze e le discriminazioni sociali e politiche. Pensavano che solo una società socialista avrebbe potuto dare dignità, libertà e giustizia al popolo italiano.
Sono gli stessi giovani che, insieme ad altri arrivati all’antifascismo negli anni del regime dittatoriale, hanno organizzato e diretto la lotta di Liberazione dell’Italia lasciandoci in eredità una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Sono i rivoluzionari italiani che hanno lasciato un segno indelebile nella grande storia del mondo e della rivoluzione mondiale.
Sono loro i protagonisti di questo viaggio.
Sergio Gentili