23 Dicembre, 2024
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Lo spreco del cibo gettato? Già se ne recuperava prima del Covid

 

Dal 2016 grazie alla legge Gadda e all’impegno di Caritas e Banco alimentare si sono fatti grandi passi avanti. Oggi il recupero è fermo a causa delle rigide norme anticontagio

 

Gentile direttore, 
avrei una questione da sottoporre e mi piacerebbe che a rispondere fosse Paolo Lambruschi che la settimana scorsa ha letto e commentato i quotidiani a “Prima Pagina” di Radio3. Non ha purtroppo trovato spazio in quella bella trasmissione Rai una questione a me molto cara e che è collegata al diffuso incremento di situazioni di povertà causato della crisi sociale ed economica innescata dalla pandemia. Essendo un’insegnante di scuola primaria, non ho potuto non pensare al cibo intatto che ogni giorno buttiamo via dalle mense scolastiche. Ho riscontrato questo spreco in tutte le mie esperienze lavorative, sia in Lombardia che in Piemonte, in scuole statali ma anche in scuole paritarie cattoliche. Premesso che per anni abbiamo cercato un canale che potesse recuperare il cibo intatto con scarsi risultati, ritengo sia anche un fallimento educativo che tutti i giorni i nostri bambini vedano gettare via quantità di buon cibo. Mi chiedo, non è davvero possibile, tramite la Caritas o altre associazioni, utilizzare i pasti non consumati per aiutare chi ha bisogno? Grazie per la vostra attenzione, spero di ricevere una risposta che chiarisca i miei dubbi in merito.

Aurora

Eccomi qui, gentile signora Aurora. Il direttore mi invita a risponderle e lo faccio molto volentieri. La questione che lei solleva è, infatti, molto attuale poiché la pandemia sociale generata dalle chiusure e dal conseguente calo di produzione e consumi e dalla perdita di posti di lavoro precari e meno garantiti sta drammaticamente ampliando la platea dei bisognosi, come dicono studi e rapporti e come abbiamo più volte documentato sulle nostre pagine. In molti casi si tratta di famiglie monogenitoriali con figli in età scolare che per la prima volta bussano alla Caritas o alle mense per bisognosi. Ridurre quindi gli sprechi alimentari che ancora lei vede quotidianamente nella mensa della sua scuola è oggi quanto mai necessario. Non siamo all’anno zero, però. La legge antisprechi o legge Gadda consente di recuperare tra l’altro le derrate non consumate anche nei refettori per destinarle ai bisognosi attraverso enti non profit. È in vigore dal 2016 e ha portato di ridurre sensibilmente gli sprechi. Oggi il recupero è fermo a causa delle rigide norme anticontagio, conferma il Banco alimentare. Ma proprio grazie alla legge Gadda il governo ha potuto emanare la normativa che ha consentito ai ristoratori di donare, prima dei giorni del lockdown, le derrate in scadenza al Terzo settore per distribuirle a chi ne ha bisogno. Ma torniamo alla scuola. Passata la pandemia, si recupereranno ancora gli avanzi. Come? Le riassumo cosa è stato fatto finora. Il cibo che finisce nel piatto dei bambini viene ovviamente gettato. Si possono per legge ritirare solo gli alimenti confezionati, quindi il pane e la frutta che vengono ridistribuiti in giornata alle mense di carità. Lo ritirano previo accordi enti come il Banco alimentare e le Caritas diocesane. I quali hanno stretto anche accordi in molte città con le scuole e con le aziende che cucinano i pasti per ‘intercettare’ pure le razioni in surplus che vengono preparate quotidianamente e non consegnate agli istituti. Difficile invece intervenire sulle porzioni che nelle mense scolastiche non vengono distribuite per assenze, ad esempio, o che non vengono messe nel piatto perché le norme igieniche e sanitarie ne richiedono la conservazione in speciali frigoriferi,“abbattitori” che garantiscono la catena del freddo, di cui quasi nessuno purtroppo dispone. Inevitabile dunque che vengano gettati nei rifiuti. Però in molte scuole primarie, ad esempio in quelle milanesi, agli alunni che non consumano tutta la razione vengono restituiti gli avanzi in sacchetti per consumarli alla sera. Oltre ai corsi antispreco questa buona pratica, apprezzata dalle famiglie, resta la migliore educazione alimentare, quella alla sobrietà nei consumi. In sostanza, la prima cosa da fare per innescare meccanismi virtuosi è contattare uno di questi enti non profit specializzati nel recupero. Buon lavoro e grazie a lei per l’attenzione.

(Avvenire)

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