Ancora senza uno spazio, il neonato Museo delle Periferie di Tor Bella Monaca annuncia il festival che si terrà dal 21 al 23 maggio su un’apposita piattaforma online:
un’opportunità per portare alla luce esperienze che hanno dato vita a sperimentazioni capaci di costruire un’altra città
A Tor Bella Monaca da pochi mesi è nato il museo che non c’è. In attesa che le sue mura sorgano in via dell’Archeologia, come opera a scomputo per gli oneri concessori dovuti da un costruttore, le attività sono partite con un programma di lectio magistrales, ospitate nel Teatro di Tor Bella Monaca e poi sulla piattaforma on line, sul tema della metropoli e delle periferie, già raccolte in una collezione di preziosi libretti.
Contemporaneamente negli spazi messi a disposizione dalla scuola Melissa Bassi si lavora per costruire una mappa autodisegnata dei territori, attraverso incontri settimanali.
“Rif-museo delle periferie”, questo è il nome che il suo ideatore, Giorgio De Finis, ha deciso di attribuirgli. Tre lettere che si trovano al centro di quel sostantivo, periferia, che sembra racchiudere tutti gli stereotipi sulla narrazione che si fa di Roma e non solo. Parlare di museo in relazione alla periferia urbana sembra un ossimoro e invece dalle prime azioni che sono state avviate si capisce subito che c’è abbondante materiale per creare uno spazio di discussione e per pensare a un’altra città, dove la marginalità non solo spaziale possa essere superata.
L’idea è in continuità con la precedente esperienza realizzata da De Finis nel Macro Asilo, dove è stato attivo un tavolo di progettazione aperto alla città, che ha visto il contributo anche di Università ed Enti di ricerca. «L’obiettivo del museo d’arte contemporanea e del suo centro studi multidisciplinare è approfondire la conoscenza delle metropoli del terzo millennio – si legge sul sito del museo – ma soprattutto immaginare e contribuire a realizzare, per il tramite di pratiche artistiche e relazionali, una città più equa, partecipata, inclusiva: la città di tutti».
Quando la sede definitiva sarà realizzata il museo avrà una biblioteca specializzata, una videoteca, una collezione permanente, laboratori artistici. Un’eccellenza che funzioni come polo attrattivo per l’intera città, capace di superare la frattura attuale fra quartieri e realtà sociali.
Intanto è stato programmato il Festival delle periferie, che si terrà dal 21 al 23 maggio, utilizzando una piattaforma progettata per l’evento, che consentirà al pubblico di seguire in diretta su tre canali gli eventi, diretti da una cabina di regia collocata all’interno del Teatro di Tor Bella Monaca. Il programma in corso di definizione è di grande qualità sia per gli ospiti previsti che per le modalità di incontro e comunicazione che saranno messi in atto. Accanto alle conferenze, ci saranno appuntamenti autogestiti, incontri con amministratori invitati a confrontarsi con le idee espresse dai tanti artisti, urbanisti, architetti, antropologi presenti in quei giorni.
Anche i cittadini avranno un loro spazio aperto dove inviare contributi e interagire con il resto dei partecipanti. In quegli stessi giorni verrà inaugurata la Biennale Architettura di Venezia e si farà in modo di condividere alcuni appuntamenti con il Padiglione Italia curato da Alessandro Melis.
Infine, legata al lavoro di automappatura che è iniziato, ci sarà una sezione dove raccogliere i contributi che verranno prodotti da realtà e spazi indipendenti che animano la periferia romana, in grado di mostrare come questa parte di città sia stata capace di opporsi alla mancanza di infrastrutture e servizi attraverso sperimentazioni sociali e culturali che hanno segnato il percorso di resistenza all’esclusione sociale.
L’occasione che il festival offre sembra imperdibile per chi ha costruito, anno dopo anno, un’altra idea di tessuto urbano, di socialità, di mutualismo e solidarietà, di cultura.
Sarà possibile portare alla luce queste esperienze che, sparse nella periferia della metropoli, hanno dato vita a sperimentazioni capaci di costruire un’altra città, utilizzando spazi abbandonati per attribuirgli valore sociale, sottraendo spazio alle logiche del dominio della finanza.
Il museo ancora non c’è, ma il lavoro che è partito ci sembra che sia garanzia della volontà di costruire un racconto differente della periferia, che abbandoni per sempre gli stereotipi fin qui serviti a nascondere le responsabilità dell’abbandono in cui sono state lasciate.
(Dinamopress)