Pur nella penuria di vaccini che affligge il nostro Paese, non mancano incongruenze come al solito provocate dalla giungla normativa e burocratica alla quale siamo ormai purtroppo abituati .
Il tema è quello dell’inserimento delle varie figure professionali nelle categorie a rischio.
“Per quanto riguarda l’Avvocatura – spiega Antonino Galletti, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, il più grande d’Italia – siamo all’assurdo oramai di una vaccinazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Capita così che gli avvocati siano considerati categoria a rischio in Sicilia ed in Toscana e non invece altrove, ad esempio, a Roma e nel Lazio, dove fin da novembre abbiamo chiesto come COA Roma e come Unione degli Ordini Forensi del Lazio di procedere alla vaccinazione degli iscritti quanto prima per assicurare continuità al servizio primario della Giustizia”.
“Per ora non sono arrivate risposte – prosegue Galletti – eppure sia a Palermo, sia a Firenze e sia a Roma, gli avvocati frequentano aule d’udienza affollate, visitano i detenuti, incontrano una pluralità di assistiti, contribuiscono come parte essenziale al funzionamento di un servizio pubblico essenziale quale quello della Giustizia, che non può certo fermarsi, non potendosi sbattere le porta in faccia ai diritti ed alle libertà”.
Siamo così al paradosso che un avvocato romano, che pure potrebbe essere chiamato a partecipare un’udienza in presenza a Firenze non è vaccinato, a differenza dei colleghi di quella città.
“Il punto dunque non è chi vaccinare prima e chi dopo fra le categorie a rischio e all’interno della medesima categoria fra le varie città – spiega il Presidente del COA Roma – ma procedere a un intervento organico che riguardi tutto il territorio nazionale, per evitare che almeno su temi delicati come questi, il diritto alla salute e il diritto alla Giustizia, non vi siano sperequazioni e non si riproducano situazioni grottesche come quella dei provvedimenti organizzativi assunti nei Tribunali durante la prima ondata della pandemia, quando ogni sezione, ufficio e ogni singola cancelleria procedevano con disposizioni autonome e del tutto scollegate dalle altre: i famosi dieci chili di carte e burocrazia che pesammo pubblicamente a Roma”.
Di qui la decisione di rivolgere un appello al neo Ministro Cartabia, come avvocatura romana e non solo, perché faccia sentire la sua voce e riporti un minimo di razionalità in un procedere finora abbastanza schizofrenico.