Persone che sono state per anni fedeli a un’ideale, di quei grulli e scemi, ingenui forse che hanno creduto nella possibilità di fare l’Italia migliorando piano piano gli italiani. Come cantò Venditti
“Lei pensa che io sia scemo, vero? No, sono un uomo di partito”. Lo ha dichiarato Ugo Sposetti in una recente intervista. Non interessa qui a proposito di che cosa il vecchio tesoriere dei Ds, il fedele curatore dei cordoni della borsa e degli immobili dell’ex-Pci, abbia fatto questa dichiarazione. Ciò che interessa qui è la questione “scemenza”.
Perdere un partito
Ditemi come fa gente che viene da un partito granitico e meritocratico, avvezzo alla segretezza interna e guidato da persone di grande preparazione culturale, ad aver perduto tutto, una base elettorale vera e palpitante, il suo giornale e adesso pure una qualche credibilità nei consessi mediatici… Guardate certe dichiarazioni di Zingaretti, oppure l’ironia, quando non l’insofferenza, che prende i più di fronte alle apparizioni televisive di D’Alema o di Veltroni, o la feroce critica che piove da più parti di fronte all’insensato modulo strategico di Mister Bettini.
Oltre ad aver perso il partito stesso: infatti il Pd è ormai in mano agli ex-democristiani della vecchia Margherita, checché ne dica qualcuno che riconosce un fil rouge tra il vecchio partito delle Botteghe Oscure e la segreteria di Zingaretti. Qualche ex-margherito, ed ex-piddino poi ha pure provato a sfasciare la parte “ex-comunista” del Pd. Renzi aveva e ha un obiettivo: far dimenticare la sinistra al partito di sinistra rimasto attivo e consistente, distruggere il legame col passato anche soltanto cercando di proseguire a rottamare politicamente l’eco degli ex-comunisti.
La sinistra e i grulli
Molti anni fa Nanni Moretti disse: “D’Alema dì qualcosa di sinistra”. Si poneva così la questione ai dirigenti di un partito che si vergognava di essere stato quello che era stato. Forse il loro era il pudore del senso di colpa – in poche parole un’apoteosi di masochismo, o la necessaria ristrutturazione casalinga.
Qualche giorno fa l’amico socialista Ciuffoletti jr., per salutare l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi e ricordare la formazione del premier presso le scuole dei gesuiti, ha pubblicato su facebook un suo vecchio pezzo del 2013 in cui, tra le altre cose, scrive: “… a noi ci sono toccati i post-comunisti, da sempre noti per essere una razza di simpatici grulli”.
Davvero gli ex-Pci sono una razza di grulli, come dice un ex-socialista? Oppure, per autodefinizione, si tende a far passare anche soltanto l’ipotesi che al ruolo “uomo di partito” sia aderente la figura dello scemo?
Di questi tempi grami, in cui sotto Draghi tutti i gatti sono bigi e, per chiunque cerchi una via d’uscita al problema sanitario ed economico scatenato dalla pandemia, può apparire ozioso discutere di post-comunisti, molti sono tornati sul tema. Sarà il centenario dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia (Livorno, 1921), oppure un interesse attuale per l’idiozia manifesta di alcuni epigoni che si cimentano più col ridicolo che con attualità politica e storia nazionale. Fatto sta che sembra ormai essersi realizzata la profezia che scrisse Antonello Venditti nella sua canzone forse più bella: Modena.
Venditti e Modena
Correva l’anno 1979 e Venditti scrive un pezzo scaturito dalla sua esperienza alla Festa de L’Unità nazionale di Modena, di due anni prima, 1977. Venditti coglie un aspetto profetico, attraverso una musica emotivamente coinvolgente e straziante e un testo ispiratissimo nella sua forza ermetica (cosa rara nel Venditti di quegli anni così popolari e di successo per lui – era da Ullalà che non si sentivano pezzi così evocativi).
Dice il testo:
Con le nostre famose facce idiote, eccoci qui.
Con i nostri sorrisi tristi, a parlarci ancora di noi
E non c’è niente da scoprire, niente da salvare
Nelle nostre parole.
Ricordi, libri da buttare, frasi da imputare
Di due bandiere dritte in faccia al sole.
Ma cos’è questa nuova paura che ho?
Ma cos’è questa voglia di uscire, andare via?
Ma cos’è questo strano rumore di piazza lontana,
Sarà forse tenerezza o un dubbio che rimane?
Ma siamo qui, a Modena,
Io resto qui a guardarti negli occhi, lo sai.
E non c’è tempo per cambiare,
Tempo per scoprire una nuova illusione.
La nostra vita è Coca-Cola, fredda nella gola
Di un padre troppo tempo amato.Quanto valeva, aver parlato già da allora,
Quando tutto era da fare e tu non eri importante.
Ma siamo qui, a Modena,
Io resto qui, con un bicchiere vuoto nella mano.
E non c’è tempo per scoprire,
Tempo per cambiare cosa abbiamo sbagliato.
La nostra vita è Coca-Cola, fredda nella gola
Di un ordine che non abbiamo mai voluto.
Ma cos’è questa nuova paura che ho?
Ma cos’è questa voglia di uscire, andare via?
Ma cos’è questo strano rumore di piazza lontana?
Una nuova tenerezza o un dubbio che rimane.
Questa canzone (più e meglio di altre) parla del Partito Comunista Italiano, di quella compagine di persone che sono state per tanti anni fedeli a un’ideale, di quei grulli e scemi, ingenui forse, che hanno creduto nella possibilità di fare l’Italia migliorando piano piano gli italiani, di coloro che una volta persa la mamma-partito sono rimasti per sempre orfani.
I sorrisi tristi erano quelli di Berlinguer, le parole indifendibili quelle che stavano a metà del guado, tra il padre troppo tempo amato della rivoluzione russa e la Coca-Cola fredda nella gola. E poi un ritardo o un’anticipazione? Cos’è stato quel tempo mancato per cambiare? E tutto era stata un’illusione?
E la paura di crescere e far svanire il sogno, o il desiderio di fuga da un ordine non riconosciuto, da un’Italia sempre peggiore di come ce la immaginavamo.
Eccoci qua, in questa Modena, città-tempio della canzone e fenomeno di una condizione metafisica, simbolica, esemplare, con tutti i dubbi che scalpitano e spesso procurano dolore. Eccola qua tutta la nostra tenerezza. Quella di noi ex-comunisti italiani: scemi e grulli, con le nostre famose facce idiote…
Ma forse, in una qualche nuova forma, si paleserà di nuovo un rumore di piazza lontana. Chissà?
(Alessandro Agostinelli, Globalist)