Animale in estinzione? Malattia problematica? Prodotto di consumo da sponsorizzare? Ambiente in pericolo? Così è l’otto marzo, festa della donna. A differenza degli altri anni, la festa sarà molto telematica. Ma resisteranno le mimose * e la retorica mediatica con riflessi culturali a tonnellate.
L’8 marzo non è il femminismo, non è un movimento politico di orgoglio e lotta.
L’8 marzo è un rito.
Un alibi perché la società colmi violente contraddizioni nascondendo di essere fondata sul potere maschile, violento e anacronistico: religioni e famiglia, lavoro e socialità.
Le donne sono sì diverse dagli uomini, ma non sono più il sesso debole, bensì quello forte. Senza donne il genere umano si estingue, cosa che non accadrebbe senza maschi (la scienza permette questo e altro).
Rispetto al passato il ruolo si è invertito: il maschio fisicamente forte proteggeva la madre dei propri figli, chiedendole (diventato col tempo – grazie alle religioni – “imponendole”) in cambio devozione e servitù. Il maschio forte oggi non serve, a nessuno. In passato da questa forza maschile ne era derivato il potere (culturale, sociale, economico), ma le donne, con l’inizio dell’accesso alle stesse socialità maschili, le hanno rese più umane e meno violente (quante sono le dittatrici nel mondo?).
E quindi, che razza di festa è l’8 marzo, al di là delle commemorazioni storiche (1)?
Certamente il potere maschile non è ancora scardinato e resiste ovunque. Ma come tutti i giorni dobbiamo combattere contro violenza e ingiustizia, altrettanto va fatto contro il potere maschile. Se il 9 marzo c’è ancora un salario minore ad una persona perché donna, il cambiamento sarà merito dell’8 marzo o della sconfitta dei maschi che lo impediscono grazie alla lotta di tutti i giorni?