22 marzo, la Giornata Mondiale dell’Acqua
E’ sotto gli occhi di tutti la progressiva diminuzione di accesso all’acqua potabile, per gli effetti di attività umane insensate responsabili della crisi climatica oltre che dello spreco e deterioramento della qualità delle acque.
Questa situazione richiederebbe nuove politiche, nuovi stili di vita in grado di assicurare acqua potabile a tutti, prevenire i disastri, ridurre le clamorose diversità nelle condizioni di vita delle persone.
Invece si continua con il solito approccio che vede il primato dell’economia sull’ambiente e sui diritti sociali: beni comuni, territorio, acqua sono “risorse” da far fruttare secondo le regole di mercato. E se ciò comporta ingiustizie sociali, ebbene queste ci sono sempre state; e se si provocano disastri e si depauperano i beni ambientali, ebbene si interviene successivamente, magari confidando nelle tecnologie.
Le tecnologie sono importanti, ma si impieghino nella prevenzione: per monitorare lo stato dei fiumi e dei laghi, per controllare i sistemi di depurazione (altro scandalo nazionale), i sistemi idrogeologici; si realizzi una grande rete di monitoraggio del “patrimonio” ambientale e dei beni comuni, utilizzando nuovi sensori e strumenti di misura, sistemi satellitari, sistemi di gestione dei dati e di simulazione sempre più efficienti anche per la disponibilità di risorse di calcolo super-veloci.
Il punto vero è che bisogna cambiare radicalmente registro: occorre adottare politiche virtuose, che mettano al centro i diritti fondamentali di donne e uomini, ovunque, e la difesa dei beni comuni.
Guardando al nostro territorio, e all’acqua, invece di pensare allo “sfruttamento” del lago di Bracciano, o alla “potabilizzazione” delle acque del Tevere, o al raddoppio dell’acquedotto del Peschiera – è la politica di Roma e della Regione Lazio – perché non si abbattono le perdite nei sistemi di distribuzione, che nella nostra regione sono intorno al 45%? Le risorse ci sono, ma vengono destinate agli azionisti di Acea SpA.
E allora veniamo al nocciolo della questione: l’acqua non è una merce ma un bene che non può essere gestito secondo le regole del mercato.
Occorre “ripubblicizzare” l’acqua: nel Lazio, dando attuazione alla legge regionale 5/2014, da tempo rimasta colpevolmente inapplicata con l’intenzione, a quanto pare, di stravolgerne lo spirito; in Italia, approvando una legge, che da anni giace in Parlamento, per l’applicazione dei referendum del 2011.
Giuseppe Girardi