L’annuncio dell’intesa tra la destra nazionalista e l’opposizione centrista. La reazione del premier
Il segnale che possano farcela, che in sette-otto giorni il regno di Benjamin Netanyahu possa implodere, sta nelle parole del primo ministro al potere da dodici anni molto più che negli annunci dei suoi avversari. Ripete che entrare in un governo di sinistra per un politico di destra significa capitolare; avverte che senza di lui nessuno difenderà il Paese da Hamas o dall’Iran, che gli americani a Washington non rispetteranno Israele. Di fatto sa di avere fino alla settimana prossima per convincere i deputati più vicini alla sua ideologia, per fermarli prima che schiaccino il bottone verde e diano il loro consenso alla coalizione nascente.
Così l’alleanza mette insieme la destra nazionalista di Bennett, alla guida del partito dei coloni, e di Gideon Sa’ar, fuoriuscito dal Likud di Netanyahu; il centro rappresentato da Yair Lapid e Benny Gantz; la sinistra storica dei laburisti e di Meretz. Un patto cementato dall’obiettivo di rimuovere il primo ministro eletto per la prima volta nel 1996.
«Dobbiamo lavorare come un gruppo – dice Bennett – per riportare Israele sulla sua strada naturale. Ci concentreremo su quello che può essere realizzato invece che litigare tutto il giorno sull’impossibile». L’accordo con Lapid, che porta in dote il maggior numero di seggi, prevede la rotazione: a Bennett va il primo turno da premier, Lapid sarebbe il vice e il ministro degli Esteri, dopo due anni arriverebbe lo scambio dei ruoli. Ammesso che il patto resista.
La coalizione del «cambiamento» – come si autodefinisce – può contare per ora su 57 deputati dei 61 necessari alla maggioranza: sono sufficienti se i partiti arabi si astengono al voto di fiducia, la formazione islamista Ra’am sta addirittura valutando l’appoggio esterno, sarebbe la prima volta dal 1976 per un gruppo che rappresenta gli arabi israeliani, il 20 per cento della popolazione.
Lapid, che ha ricevuto il mandato dal presidente, ha fino a dopodomani per presentarsi da Reuven Rivlin con la lista dei ministri e l’assicurazione di avere i numeri alla Knesset. In quello stesso giorno il parlamento elegge il nuovo capo dello Stato, non sarà Rivlin ma il suo sostituto a partecipare alla cerimonia di insediamento – se succederà – del nuovo governo.
Bennett, 49 anni, sarebbe il primo sionista religioso a guidarne uno nella Storia del Paese. Di origine americana, milionario dopo aver venduto la sua società per la cybersicurezza, capo dei coloni che non vive in una colonia, è entrato in politica ispirato da Netanyahu: come lui ha prestato il servizio militare nelle forze speciali, ha chiamato il figlio Yoni, in memoria del fratello maggiore del primo ministro in carica ucciso nel raid a Entebbe in Uganda, come lui non crede a un accordo con i palestinesi. Adesso Bibi accusa questo figlio ideologico di aver commesso «la frode del secolo».
(Corriere della Sera)