Fortuna che Alessandro Bettarelli (48 anni a dicembre, sposato, due figli) fissa l’appuntamento nel suo ufficio, primo piano, Comune di Canale Monterano. Me ne accorgo al termine dell’intervista quanto sia stata azzeccata la scelta, visto e considerato che ai saluti, mentre si percorrono a malapena un centinaio di metri per andare a salutare un amico comune, lo fermano tutti. Chi per un semplice “ciao Alessà!”, chi per un consiglio, chi per un aiuto. Ammetto, sarebbe stato impossibile dialogare fra tante interruzioni.
Come nasce l’idillio con la politica?
«Nasce da esperienze che si vivono da ragazzo, a casa. Il primo input arriva grazie a chi in famiglia, seppur a livello di paese, si è occupato di politica prima di me. Dunque, con la politica sono venuto a contatto molto precocemente. Poi l’università, la facoltà di Scienze politiche, dove la politica cominci a vederla in maniera teorica, con le sue linee guida. Quindi nell’ordine la famiglia, l’università e poi… quello che c’è oggi è arrivato per caso, visto che facevo tutt’altro, facevo “informazione”. Ma del resto spesso il passaggio fra il mondo della comunicazione e quello della politica è molto breve. Così comincia l’avventura, prima come consigliere di minoranza, qui in Comune, poi come sindaco con un piano di lavoro chiamato “Progetto locale”».
Insomma, lei è stato quasi invitato, spronato a fare politica. Quindi non ha “subìto” la classica domanda che somiglia a una ramanzina del tipo “ma chi te lo fa fare”?
«Mio padre me lo ha detto comunque, fra le frasi che gli ho sentito dire da quando avevo dieci anni, fino a oggi, c’è la classica “lascia perdere, non lo fare, è un mestiere ingrato”. Ma fare il sindaco non è proprio fare politica, il sindaco, specie nei paesi, fa l’amministratore. Di politica c’è ben poco».
Scienze politiche l’ha frequentata a Roma?
«Si, a La Sapienza. Politica internazionale, laurea nel 1999».
Ecco, la Sapienza… E’ stata un incubo?
«Si, ma devo ammettere che è stato un bell’incubo, perché uno che parte da Canale per andare in un ambiente come quello, viene catapultato in un mondo dove ci sono millecinquecento iscritti all’anno, almeno questa era la media di quegli anni. Scienze politiche è stata un’avventura vissuta con grandi personaggi, e qui aggiungo che per fortuna non abbiamo vissuto i giorni di Bachelet. Ma le tensioni c’erano, così come gli scontri fuori la Facoltà. E’ stata una grande esperienza di vita, e si capisce che oltre allo studio c’è anche il bisogno di “combattere” giorno per giorno per trovare il posto, per seguire le lezioni. Chi parte da Canale per andare a “La Sapienza” fra una cosa e l’altra si fa un paio d’ore di viaggio all’andata e un paio al ritorno. E’ stata una grande palestra, un grande insegnamento di vita, accompagnato da lezioni di grandi storici, grandi economisti. Professori con i quali si potevano a volte anche non condividere alcune ideologie, ma che erano da ammirare per aver segnato la ricerca storica in Italia. Un esempio? Chi ha fatto “Trattati e politica internazionale” ha di sicuro seguito le lezioni del professor Pastorelli, che incuteva terrore solo a nominarlo. Ripeto… grandi professori, grandi personaggi».
Per fare il sindaco l’ha aiutata più lo studio o… la strada?
«Sono due elementi inscindibili. Non si può fare il sindaco senza un’ottima preparazione alle spalle, altrimenti si fanno danni e ci si fa pure male; e non si può fare il sindaco se non si conosce il territorio, la comunità. E’ per questo che non capisco le situazioni in cui “il sindaco Taldeitali si presenta pure da un’altra parte”… Perché è vero che le norme sono sempre quelle, gli iter sono gli stessi… ma senza conoscenza del territorio e soprattutto se non si conosce la comunità, non si va avanti».
Lei quando ha deciso di fare il sindaco ha pensato che qualsiasi cosa accada “è sempre colpa del sindaco”? Il bambino morso dal cane? E’ colpa del sindaco. Un po’ come il “piove governo ladro” di cinquant’anni fa.
«Si, nella maniera più assoluta. Quando in casa mi dicevano “stai in campana”, si arrivava sempre alla storiella della casa. Ci abbiamo messo tre generazioni per costruirla, non per farcela togliere da qualche assicurazione perché ti hanno fatto causa. Ho fatto anche associazionismo. Per cui so che quando per esempio organizzi una corsa in paese, chessò… da Canale a Monterano, sai bene che deve esserci l’assicurazione per coprire i rischi. Ero assolutamente consapevole del rischio».
Ecco, per capire… Canale e Monterano. Due paesi uniti?
«Questa è una bella storia. Monterano è la parte antica, storica. Le prime notizie risalgono al periodo etrusco. Poi, fra il 1750 e il 1800, per tutta una serie di motivi, gli ultimi monteranesi si trasferirono nel nuovo centro abitato di Canale. Così questo piccolo borgo formato prevalentemente da tagliatori di boschi si popolò e con l’Unità d’Italia il paese divenne Canale Monterano».
Canale è conosciuta anche perché ha un valore cinematografico.
«Fra le tante cose che ho fatto in vita mia ho cominciato, e avevo dodici anni, a catalogare i film che girati a Monterano. Una decina di anni fa sulle produzioni cinematografiche ho anche scritto un libro. Sono arrivato a catalogare 82 titoli verificabili. Mi sono fermato al cinema, con le fiction il raggio d’azione sarebbe stato molto più ampio. E’ chiaro che quando uno arriva a Monterano, al primo impatto con la chiesa di san Bonaventura si ricorda che quella è la chiesa de “Il Marchese del Grillo”, dove don Bastiano (Flavio Bucci, nda) vive quella meravigliosa sequenza con Alberto Sordi e con il “franzoso” Blanchard. Ecco, uno dei punti del nostro mandato è stato anche quello di puntare sulla cinematografia prodotta in questa zona. Rappresenta un peso importante per il turismo esperienziale, del quale adesso si parla tanto».
Mai stato un momento in cui è sorta nella sua mente la classica domanda, quella del “ma chi me l’ha fatto fare”?
«Lo dici più o meno una volta a settimana. Ma poi cinque minuti dopo se hai un certo tipo di carattere, prendi quella sbandata, quel momento di poco entusiasmo, per lavorare meglio e di più. Un aiuto me lo ha dato la formazione rugbystica».
Lei e il rugby, parliamone.
«Dai dodici ai venticinque anni è stata la mia passione. Perfino più delle ragazze, della scuola, di tutto il resto. Ho iniziato con un personaggio incredibile ed eroico come Anacleto Altigieri, che all’epoca era il nostro allenatore, ma soprattutto veniva da dieci anni di nazionale di rugby, era il pilone destro. Ci ha formato e fatto crescere quasi come un padre».
Vita da sindaco… proposte o proteste strane…
«Le richieste strane non si contano, specie nei piccoli paesi il sindaco viene visto come un deus ex machina pronto a risolvere ogni problema, dalla lite col vicino a eventi che nulla hanno a che vedere col Comune. Le liti fra vicini sono all’ordine del giorno e si va dal sindaco per cercare di risolvere la questione. Forse perché si pensa che col sindaco, non essendo un organo della magistratura, ci si può confrontare prima di arrivare alle liti giudiziarie. Si pensa possa fare da mediatore. Dipende dalla poca conoscenza delle leggi».
Un esempio?
«Beh… c’è stata una signora che mi chiedeva di rallentare il flusso veicolare per la via (una strada comunale, nda) dove abitava perché il suo cane usciva dal cancello per andare in giro per fare i suoi bisogni. Il cane aveva ovviamente paura delle macchine, e quando le ho spiegato che l’animale non può andare a spasso senza padrone, si è anche un po’ risentita perché “il cane era sempre stato abituato così”. E’ la mancanza di conoscenza delle leggi, il cane deve essere custodito, anche perché, seppur involontariamente, potrebbe causare un incidente».
Cinque anni fa Alessandro Bettarelli come approcciò alla tornata elettorale?
«Venivo, pardon, il mio gruppo veniva da una bellissima esperienza di minoranza, e sono sempre stato convinto del fatto che quando si sta in minoranza si ha più tempo per approfondire gli argomenti. La maggioranza, al contrario, è risucchiata in un vortice di cose che avvengono e debbono essere risolte, spesso in maniera veloce. Come minoranza siamo riusciti a creare “Progetto locale”, che metteva fine a tutta una serie di diatribe di un certo arco politico canalese, che poi era quello del centro sinistra. Chiuso quel frangente abbiamo proceduto con l’allargamento politico e civico di questo raggruppamento. Che per cinque anni ha lavorato anche confrontandosi in maniera dura, brusca, ma soprattutto leale. Niente sgambetti, niente litigi interni. Così abbiamo chiuso il mandato senza intoppi».
Ma lei cinque anni fa pensava di vincere?
«”Progetto locale” esprimeva forze in campo molto importanti. Ero sicuro che la tornata elettorale sarebbe andata bene, anche se poi fin quando non arriva l’esito del voto resta sempre il dubbio. Ma facendo una scommessa fra noi dello schieramento dissi 1650 voti. E arrivarono 1650 voti. Il 67% del totale».
Stavolta come si avvicina al giorno del voto?
«Devo premettere una cosa. Di sicuro non si possono accontentare tutti. Se si chiede di sanare un abuso, non si può fare. Se c’è da fare qualcosa di irregolare da “aggiustare”, non si può fare. E’ inevitabile che chi ha ricevuto dei “no”, non ci voterà. Dico che se il popolo di Canale Monterano vorrà premiarci col voto, lo farà. E se non lo farà, dovremo ammettere che magari potremmo aver sbagliato qualcosa. Il cittadino ha sempre ragione. Ma siamo abbastanza ottimisti, anche perché più di così non si poteva dare. Dico “dare”, non “fare”. Tutti gli elementi della maggioranza hanno dato il massimo che potevano. In un periodo, aggiungo, in cui è emerso il Covid e tante energie sono andate a fronteggiare la pandemia. In una situazione in cui – e non posso celare una parte importante della verità – fra smart working e malattie varie non tutti i dipendenti hanno dato il massimo. In un’epoca, aggiungo ancora, in cui Canale Monterano non ha per esempio la figura del segretario comunale. Che manca da due anni e mezzo che “prendiamo in prestito” e che per fortuna ci aiuta almeno per i Consigli e le Giunte. Ma pensare solo dieci anni fa che un’Amministrazione potesse andare avanti per così tanto tempo senza il segretario comunale era assurdo».
Perché manca il segretario comunale?
«E’ una latitanza italiana, oggi ci sono 1600 comuni senza segretario comunale. E allora si fa uso dello strumento chiamato “scavalco”. Dunque, un segretario che sta tre giorni a settimana a Orte e due giorni a Vejano, poi viene per qualche ora a Canale, quando ci sono le Giunte e i Consigli. Viene a fare da ufficiale rogitante, perché non si può fare una delibera, che sia di giunta o di consiglio, senza il segretario comunale presente».
Un figlio di nove anni, una figlia di dodici. Per loro lei è il sindaco di Canale Monterano o non conoscono la sua “seconda vita”?
«Lo sanno ma non fanno differenza, qui, come in altri piccoli paesi, il sindaco resta uno che fa volontariato per cui, per esempio, fra il papà sindaco e il papà presidente della pro loco, della società sportiva o della banda musicale, non esiste differenza. A prescindere da questo, ammetto che pur avendomi sempre visto poco a casa, resto papà».
Chiuda gli occhi e pensi a un momento di questo quinquennio, bello o brutto che sia stato.
«Il momento della notte di insediamento, quando il presidente del seggio 1 ha dato la notizia della vittoria e dell’insediamento. Tanta gente intorno, un momento importante, che fa capire come a Canale non vince il sindaco o una rappresentanza politica, ma tutta una fetta di popolazione».
E lei il giorno successivo da “Alessà” è diventato il “signor sindaco”.
«No, sono rimasto “Alessà”, sarebbe assurdo pensare, in un clima come quello di paese, che quello che ti bucava il pallone quando eri ragazzino trasformi quel rapporto “paesano” in un rapporto istituzionale. Forse giusto qualche persona di una certa età, che non mi conosceva prima dell’elezione, usa un linguaggio un po’ più formale. Ma per gli altri sono rimasto “Alessà”».
Lei cosa non è riuscito a fare in questo lustro?
«Penso tante cose. Avrei, anzi avremmo, come squadra, voluto fare tante cose in più. Ma c’è anche da dire che tante cose le abbiamo fatte. Siamo partiti con una situazione folle, con il Comune in default, nei primi tre mesi abbiamo dovuto decidere se procedere con una normale amministrazione o se chiedere il commissariamento straordinario per problemi di bilancio. Ci siamo insediati il 6 giugno e non c’era ancora l’approvazione del bilancio previsionale. I conti erano scoppiati e i primi tempi sono stati di “lacrime e sangue”. Abbiamo dovuto risistemare i conti».
E oggi?
«Quest’anno, il 7 luglio, abbiamo approvato il rendiconto. Un rendiconto che ci permette di avere un avanzo di bilancio, e con questo denaro possiamo fare qualcosa. Senza, si fa associazionismo, o si chiedono favori agli amici. Ora abbiamo un bilancio abbastanza buono per un Comune come il nostro».
Scusi Bettarelli… e come andavate avanti quando i soldi non c’erano?
«Con gli aiuti della Regione. Ma mai abbiamo chiesto mutui o prestiti bancari. Ecco, forse la cosa più significativa di questo quinquennio è proprio questa, mai siamo ricorsi a mutui o prestiti».
Raccolta differenziata, a che punto siamo?
«Va bene e serve ringraziare chi la portò a Canale Monterano, quindi due consiliature fa, quando si decise di portare avanti una raccolta differenziata integrale su tutto il paese. Per intenderci non come accade a Roma, e ne vediamo i risultati, con una raccolta effettuata a macchia di leopardo. E poi va sottolineata la grande importanza dell’isola ecologica. La differenziata? Negli ultimi cinque anni siamo passati dal 62% all’82 per cento. Niente male».
Canale Monterano e la pandemia.
«Questo paese l’ha sopportata meglio rispetto ad altri comuni perché c’è un grande senso di comunità. Qui ci si è dati una mano l’uno con l’altro. E tutti hanno dato un aiuto, dalla parrocchia alla Croce rossa, dalla protezione civile al Comune stesso… Qui tutti si sono dati una mano».
Cosa manca a Canale Monterano?
«Purtroppo, o per fortuna, i canalesi pensano sempre che qui c’è tutto. E manca nulla. E’ una mentalità spicciola, ma schietta. Ma qui, come in tanti altri piccoli comuni, il senso di semplicità è molto sviluppato».
Che farà da grande Alessandro Bettarelli?
«Nei prossimi cinque anni, spero di fare il sindaco. Non sono molto ambizioso, mi piace la vita di paese, mi piace fare l’orto, una corsetta nel bosco. Non mi creo angosce per il futuro».
Massimiliano Morelli