Cristina Matranga, ex direttore amministrativo aziendale dell’Asl Roma 1, è da alcuni mesi il direttore generale della Asl Roma 4. E’ un avvocato, ma ha scelto la carriera “sanitaria”, accumulando una serie di esperienze determinanti e fondamentali per raccogliere l’eredità di Giuseppe Quintavalle.
Prime settimane del suo nuovo incarico. Come va?
«Va abbastanza bene. Sulla campagna vaccinnale ho trovato un’azienda pronta, operativa e con una grande adattabilità. Abbiamo fatto tanti eventi, di ogni tipo, dalla vaccinazione a bordo delle navi a quelle dei marittimi, abbiamo realizzato azioni in occasione dei concerti, siamo andati in giro con il camper a fare quello che abbiamo definito un “vax tour”, abbiamo raggiunto tutti i comuni, anche quelli più piccoli, anche i più lontani, e mi riferisco ovviamente al distretto della Asl Roma 4».
A proposito di queste iniziative, con un carico di lavoro non indifferente, c’è mai stato un momento in cui lei si è detta “ma chi me lo fa fare”?
«Penso che questa domanda oggi non ce la possiamo porre, in un momento come questo c’è un grande senso di responsabilità, di responsabilità collettiva, e anzi devo dire che ci ha fatto anche riscoprire i motivi profondi per i quali facciamo questo mestiere e lavoriamo nella sanità pubblica. E non mi riferisco solamente al management, ma anche a tutti gli operatori, gli infermieri, gli ausiliari, il personale medico. Ecco, abbiamo riscoperto il valore profondo di questo mestiere. La domanda non me la sono posta, tanto meno nel momento di questo nuovo incarico. Forse ci sono stati altri momenti nella mia carriera in cui mi sono posta la domanda, essendo per estrazione un avvocato, e sicuramente mi sono chiesta se praticare la professione sarebbe stato meglio. Sicuramente sarebbe stata una scelta più remunerativa. Ma per quanto mi riguarda c’è un forte senso di responsabilità, responsabilità collettiva».
Nei giorni scorsi è comparsa una fotografia degli anni Settanta che mostrava persone in piazza che chiedevano il vaccino anti-colera. Quanto siamo cambiati? Prima avevamo paura, oggi – forse per colpa dei social – andiamo in controtendenza e troviamo chi rifiuta il vaccino.
«Non so se siamo cambiati o se sia cambiata la comunicazione; forse non sta a me dirlo e in realtà non è neanche così facile dare una risposta. Quello che posso dirle è che il vaccino, oggi, ci sta consentendo di fare eventi che lo scorso anno neanche potevamo sognarci, e consente una ripresa di tutte le attività produttive che sono fondamentali. Forse non darei così tanto spazio nella comunicazione a posizioni per me così poco comprensibili e poco ragionevoli come quelle dei “no vax”. Servirebbe un po’ più di ragionevolezza e buon senso da parte di tutti».
Se le dico semplicemente la parola Covid, cosa le viene in mente?
«Una lezione molto pesante, luci e ombre. Da una parte ci ha insegnato molto, e ci sta insegnando a essere molto adattabili, flessibili. Ci ha insegnato anche a vedere la sanità pubblica in modo diverso, prima del Covid andavamo sui giornali solo per episodi veri o presunti di malasanità, oggi la sanità pubblica ha tutta un’altra credibilità, un’altra autorevolezza, le persone hanno imparato a fidarsi, hanno imparato a capire che in Italia c’è un buon sistema sanitario, cosa che prima ai più era ignota. Prima faceva scandalo, anche giustamente, l’episodio di malasanità, ma nessuno sapeva cosa fosse il dipartimento di prevenzione. Oggi tutti sanno cosa è, se lavora bene, male, se è presente, se è vicino ai cittadini. Quindi la lezione questa, col cittadino che ha cominciato a fidarsi della sanità pubblica. Ma a questo traguardo ci siamo arrivati in modo pesante, potevamo arrivare a questo punto in maniera meno traumatica, soprattutto se pensiamo alle persone che ci hanno lasciato per questo virus, se pensiamo alle regioni del nord, e sappiamo bene quanto sia pesante questo bilancio».
Sono quasi due anni che combattiamo col virus. Se guarda a ritroso nel tempo, analizzando questi mesi, cosa le viene in mente?
«La prima cosa che mi viene in mente sono le riunioni che l’assessore Alessio D’Amato ha voluto fare. Ecco, una parola la voglio spendere per il nostro modello regionale. Mi vengono in mente queste riunioni, cominciate già il primo giorno della pandemia, eravamo ai primi di marzo del 2020. L’assessore ha voluto mettere in agenda come regola quotidiana l’incontro fra tutti i direttori generali. Questo ha creato una rete, una sinergia e una capacità di dialogo quotidiano che ha fatto la differenza. Abbiamo ricevuto costantemente indicazioni operative, strategiche, e siamo stati ascoltati. Abbiamo fatto “sistema”, e questa è un’altra lezione che abbiamo imparato. E’ chiaro che la Regione Lazio ha dimostrato una capacità che già aveva e che è il frutto di anni di lavoro. Un lavoro che prima non era visibile, ma che nell’era della pandemia si è rivelata. Questi incontri sono stati fondamentali, hanno rappresentato anche la sede dove sono state prese decisioni importanti, come per esempio aprire i reparti-Covid nel periodo di ottobre-novembre dello scorso anno».
La società ha due obiettivi, sconfiggere il virus e raggiungere l’immunità di gregge. Pare assurdo ma sembra più facile battere il Covid che andare a cercare l’immunità di gregge, qua ci sono troppi bastian contrari… Pare un’assurdità, eppure viviamo in una società come questa.
«Confermo tutto. Questa mattina prima di uscire da casa stavo vedendo una trasmissione televisiva e mi rendevo conto che il tema è sempre lo stesso, c’è sempre qualcuno che chiama in causa la libertà del singolo di non vaccinarsi, invocando magari pure norme costituzionali. Credo che le parole del Capo dello Stato Sergio Mattarella siano state giuste e condivisibili, “è vero che c’è da tutelare la libertà individuale ma c’è anche da tutelare la libertà collettiva”, e dunque la libertà individuale non può andare a confliggere con la libertà di qualcun altro. C’è l’articolo 32 della Costituzione che analizza la tutela la salute, ma non solo la salute dell’individuo, prima ancora quella della collettività. Ecco, alcuni valori li dobbiamo riaffermare, il primo è quello della tutela della salute pubblica, il secondo è il valore della libertà, che non può essere un diritto individuale a ogni costo, specie quando si esercita andando a ledere la libertà degli altri. E poi serve ricominciare. Ricominciare con le lezioni scolastiche in presenza, ricominciare un ritmo produttivo adeguato, ricominciare – perché no? – anche una vita sociale normale».
Chiudiamo con un sorriso, da grande continuerà a fare il dirigente di una Asl o riprenderà la carriera da avvocato?
«Ormai la carriera di avvocato l’ho abbandonata vent’anni fa e non ci penso a riprenderla, questo è un lavoro molto impegnativo e molto faticoso, ma bellissimo. Più bello che difficile, anche se è molto difficile. Ma restituisce quel senso di utilità, quel dare un contributo a una società nella quale credo. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo costruito in questi ultimi decenni e sono orgogliosa di dare un contributo anche in un momento così importante».
Massimiliano Morelli