L’emergenza Covid ha spazzato via dal dibattito politico la tragica condizione nella quale versa il nostro Paese, dove si registrano le percentuali di occupazione e l’ammontare dei salari da lavoro dipendente più bassi d’Europa, con impressionanti record negativi sul fronte della disoccupazione femminile e dei giovani inoccupati. Ha derubricato problemi enormi come quelli connessi all’aumento della povertà e allo smantellamento dello stato sociale, in un contesto segnato da crescenti diseguaglianze.
Le scelte del Governo
Il Governo dei migliori, con il sostegno incondizionato delle grandi testate giornalistiche e televisive, capitanato da Draghi (uomo della necessità per gli imprenditori, i ricchi e la finanza) ha tirato dritto per molto tempo, narrando un Paese virtuale destinato alla crescita e al benessere collettivo. Il contrario di una realtà nella quale le scelte del Governo acuiscono la forbice tra ricchezza e povertà; penalizzano ulteriormente lavoratori, pensionati e ceti sociali deboli; vanno nella direzione delle privatizzazioni. Finalmente, dopo la definizione della legge di bilancio, la “pace sociale” si è rotta. Cgil e Uil (due delle tre grandi confederazioni sindacali) che pure avevano dimostrato enorme prudenza, hanno promosso lo sciopero generale e le manifestazioni nazionali del 16 dicembre, considerando la manovra economica “insoddisfacente, in particolare sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza, tanto più alla luce delle risorse, disponibili in questa fase, che avrebbero consentito una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile”.
Mai, come in questo caso, nei confronti di un’azione legittima e motivata di lotta sindacale, si è registrato un fuoco di contrasto quasi unanime della politica e degli organi di informazione nazionali, che hanno accusato di “irresponsabilità” i promotori dello sciopero.
Ritorno al “conflitto sociale”
Soggettivamente ritengo che qualsiasi politico o giornalista, se in buona fede, dovrebbe riconoscere come il ritorno al “conflitto sociale” e la messa in discussione dell’imperante “pensiero unico”, costituiscono un viatico importante per tornare a essere un Paese almeno normale. Il sindacato e il mondo del lavoro, come è avvenuto nei momenti più bui e difficili nella storia del nostro Paese, possono svolgere un ruolo decisivo.
Lo sciopero del 16 dicembre è il regalo di Natale più bello che il mondo del lavoro, i pensionati e l’intero Paese potessero ricevere, perché riaccende la speranza nella possibilità di cambiare in meglio la nostra società. Bisogna però considerarlo non come il punto di arrivo bensì di partenza, per una mobilitazione lunga e duratura della quale vi è urgente bisogno al fine di restituire centralità al lavoro e ai diritti costituzionali.
Cesare Caiazza