Di mio nonno Fritz berlinese apolide ma ebreo di razza trucidato ad Auschwitz nel luglio 1944 a 65 anni è riapparso, in questi giorni dopo 78 anni, su “Roma città aperta” fb online copia dell’originale verbale della polizia che ne documenta la cattura assieme ad altri 15 rifugiati dentro il collegio pontificio Russicum in via Cattaneo 2/a (piazza S. Maria Maggiore), in plateale violazione della extraterritorialità religiosa pur rispettata dal comando militare tedesco.
Con lo stratagemma della consegna di un telegramma, la notte del 21 dicembre 1943, l’aguzzino nazifascista Pietro Koch irruppe alla testa della sua squadraccia, appunto la banda Koch, di assassini criminali, con l’appoggio delle SS di via Tasso (oggi Museo sacrario delle brutali torture sui partigiani) invasero il seminario gesuita, dove si nascondevano ebrei e militari italiani.
Assieme agli altri prigionieri, mio nonno materno fu incarcerato a Regina Coeli. Tra loro, figurava esponente di spicco della Resistenza e del PCI (poi riuscito a evadere e nel dopoguerra Sindaco di Torino), Giovanni Roveda, di sicuro il principale obiettivo dell’assalto al convento. Il calvario di mio nonno, invece, era appena cominciato. Dal carcere romano, fu tradotto in febbraio 1944 nel campo dì concentramento di transito a Fossoli, poi deportato in aprile con un carro ferroviario bestiame ad Auschwitz dove lo fecero morire nel luglio successivo.
Oggi è tra noi con il suo sacrificio ricordato nella “pietra di inciampo” pavimentata sul marciapiede davanti al portone di via Monte Zebio 40, dove allora era accolto dai suoi familiari romani. Il calvario di Fritz Warschauer cominciò in Germania, proprio in Patria, per la quale aveva combattuto nella Prima guerra mondiale meritando una medaglia al valor militare. Fuggi’ da Berlino perché ebreo, si dovette nascondere a Roma perché ebreo, trovò un rifugio perché cattolico convertito, ma fu preso come ebreo e “politico” e morì bollato 2 volte con il duplice marchio di “politish schutzhaftling”.