Il 9-10 aprile scorsi è andato in scena il nuovo lavoro teatrale di Esper Russo. Ettore e Achille, due eroi fuori da ogni etica, da ogni buon comportamento; mancano di un’autocoscienza, dell’io; sono mossi esclusivamente dalle loro passioni, anzi sono dominati dalle loro passioni, pertanto le loro azioni si potrebbe dire che sono involontarie, irresponsabili, non imputabili di alcuna colpa o peccato.
L’unica loro preoccupazione è la gloria, la fama, l’onore perché vivono all’interno di una “società della vergogna”.
Il lavoro teatrale, “Ettore e Achille. Il duello malinconico del viver breve”, che non è uno spettacolo, si muove sul crinale tra l’epico e il poetico, tra il poema e il lirico, tra il classico e il romantico esistenzialista. Lì dove finisce Omero comincia Holderlin, Leopardi, Nietzsche; dalla voce naturale alla voce microfonata del “non io”. La solitudine dei due eroi di fronte al loro comune destino di breve vita, è esaltata dalle loro figure in solitario che dialogano con le voci fuori campo degli altri personaggi e dei, ed è un crescendo d’intensità fino al loro furente duello. Un duello malinconico per la loro gioventù spezzata, uno scontro verbale in cui Ettore e Achille violentemente vogliono distinguersi l’uno dall’altro e in tal modo emergono le loro profonde differenze. L’uno non solo guerriero ma anche marito e padre, l’altro solo un maschio brutale e violento; Ettore dalla personalità integra, intera, armonica, Achille al contrario è uno scherzo del destino, vive la sua incompletezza tra divino e umano e ciò genera in lui l’ira violenta, perché non accetta la sua parte umana, si vorrebbe tutto divino, ma c’è il suo tallone che lo tradisce. Ettore interiormente dinamico, Achille fermo ai suoi inizi, non è cresciuto. Ettore sa parlare alle donne, Achille è angustiato dal femminile.
La messinscena dell’Iliade, il poema della forza, come lo definisce Simone Weil, è la gigantesca storia di una passione, l’ira di Achille, l’eccesso passionale, quell’arcaico grumo antropologico che continua ancor oggi ad agire in uno strato profondo della soggettività umana. Una maleducazione degli affetti che sfocia nel gesto inconsulto; così oggi, disinfettati nelle passioni, gli uomini contemporanei, analfabeti dei loro sentimenti, sono inariditi nelle loro emozioni, guidati solo dal Logos scientifico e faccendiere. Con Ettore e Achille finisce la vita selvaggia ma coraggiosa, potente che accetta il fato, il destino, anche se infausto. Eroismo oggi, è quello di saper accettare il paradosso dell’esistere.
La regia e l’adattamento di Esper Russo rende Omero non contemporaneo, di più! La sua introspezione psicologica dei due eroi è penetrante e di un’efficacia moderna straordinaria, specie nel commovente finale. Dall’antica tradizione musicale greca a Wagner, fino ai Doors, la scenografia di Okra di forte carattere simbolico, la coreografia di Matilda Russo, metafora dell’identico destino dei due eroi. I due attori Archita Russo e Leonardo Silla non recitano, agiscono e si abbandonano al flusso dell’accadere teatrale. Bello!
Ignazio del Gado