Il covid c’è ancora: partiamo da questo assunto. Non è stato sconfitto e la battaglia è ancora lunga.
Le polemiche e le tesi complottiste, quelle hanno sempre retto, a calare è la fiducia in una rapida sconfitta.
Tornano frasi come “non bisogna abbassare la guardia” e quei piccoli moduli prefabbricati in cui si facevano i famigerati tamponi rapiti che, da qualche mese, non piantonavano gli ingressi delle farmacie. Ricomincia a porsi la domanda “quale vaccino è più indicato?” in relazione alla quarta dose (disponibile per gli ultraottantenni, gli over 60 con elevata fragilità dai 12 anni in su).
Di chi è la responsabilità?
Il dito è stato puntato subito contro gli eventi organizzati per la stagione calda (che comunque erano già partiti, sebbene in dimensione ridotta, l’anno scorso), e la gioventù che non vuole proprio indossare le mascherine; il cui uso, comunque, è stato completamente abolito in determinati luoghi, o “raccomandato” in altri contesti.
Facile così. In questi giorni si sta discutendo su un possibile ritorno ad alcune restrizioni, proposte avanzate dall’Oms: “Con l’aumento della trasmissione del Covid-19 e dei ricoveri, i governi devono implementare le misure collaudate come l’uso della mascherina, il miglioramento della ventilazione e dei test”. Questo deriva da un generale malcontento, espresso – a volte – anche dalle istituzioni stesse. Andrebbe citata la lettera rivolta ai ministri e firmata dal segretario generale Fast-Confsal, Pietro Serbassi, in merito alla decisione dell’esecutivo di prorogare fino al 30 settembre l’obbligo di indossare le mascherine nel trasporto pubblico.
La decisione non può che lasciare perplessi, visto il venir meno dell’obbligo in luoghi di lavoro e di svago dove i rischi di contagio appaiono assolutamente commisurabili a quelli che si possono verificare sui mezzi di trasporto pubblico. C’è forse meno rischio di contagio in un bus di linea o un treno che ad un concerto di un famoso cantante? C’è qualche distanziamento previsto per gli spettatori di cinema o teatro? Capire i motivi che abbiano spinto il legislatore a delimitare il perimetro delle misure anti-Covid non è facile. Più facile è comprendere cosà produrrà questa scelta: grande confusione nei cittadini, trasgressione diffusa delle regole, disincentivo all’uso dei mezzi pubblici (con conseguente aumento della mobilità privata, enormemente più inquinante).
Ad alimentare le già forti perplessità di mantenere in piedi i divieti per uno solo settore, c’è poi l’incomprensibile discriminazione di alcune modalità di trasporto rispetto ad altre. La distinzione operata tra voli di linea e treni intercity e ad alta velocità, per esempio, non sembra avere alcuna giustificazione scientifica. In queste due modalità di spostamento, infatti, la prenotazione del posto è obbligatoria e il distanziamento tra i passeggeri è addirittura superiore a quello degli aerei.
Poniamo di nuovo la domanda: di chi è la responsabilità?
Probabilmente da una comune parvenza di libertà conferita dai dati in calo e dallo stop delle restrizioni (a lungo chiacchierato), ma anche da decisioni prese – forse – troppo in fretta da chi dovrebbe tutelare la salute dei cittadini.
Lucrezia Roviello