23 Dicembre, 2024
spot_imgspot_img

Musica e psiche: quale correlazione? Parlano Paolo Cavallone e Adelia Lucattini

La musica classica è in assoluto, di tutte le forme musicali, la più evocativa: non spiega, non descrive, ma lascia immaginare. Quando si insegna ai bambini l’ascolto della musica classica, una modalità che spesso si utilizza è proprio quella evocativa. Cosa ti fa venire in mente questa musica? Non sempre l’ideale dell’immagine ha a che fare con il bello. Il mondo che interessava ai compositori e agli artisti dell’espressionismo musicale era quello celato dietro la razionalità e che si interessava agli artisti dell’espressionismo musicale, era quello celato dietro la razionalità e che si manifesta nell’inconscio. Oggi entrano in gioco fattori diversi, ma resta al centro la potenza della musica, che può essere di aiuto al mondo psichiatrico e soprattutto a tanti pazienti. La Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psycoanalytical Association,  Adelia Lucattini e Paolo Cavallone, uno dei maggiori compositori della scena musicale contemporanea  e Titolare della Cattedra di Elementi di Composizione al Conservatorio  “Vivaldi” di Alessandria  affrontano in questa doppia intervista alcuni degli aspetti più rilevanti nel rapporto tra due discipline che, per diverse ragioni, sono sempre più seguite.

Maestro Cavallone, quali fattori entrano in gioco durante l’esperienza musicale?

La musica è la più astratta delle arti e in quanto tale, ci proietta tramite il suono al confine delle percezioni umane, dei parametri fisici e, senza cautela, direi anche metafisici. Credo a quanto descrive Hanslick nel Del bello in musica [Vom Musikalisch-Schönen], vale a dire che tale dimensione astratta del suono è caratterizzata dalla dinamica e dal movimento. Secondo il musicologo tedesco, le due peculiarità sono le stesse delle emozioni ed è grazie ad un collegamento inconscio che possiamo emozionarci all’ascolto organizzato dei suoni (ossia della musica).

In sostanza, durante l’esperienza musicale, entrano in gioco una molteplicità di fattori che interessano l’aspetto cognitivo – a fortiori, quando il suono è prodotto della parola e si carica di significati semantici – come pure quello percettivo, psichico (inconscio) e anche quello spirituale.

Questo riferimento a Hanslick probabilmente ha spinto la critica a parlare nel caso della sua musica come di una sorta di “sintagmatica autoconfessione”, in cui il suono vive di totale autogiustificazione. Cosa ci può dire a riguardo?

Tocca un aspetto specifico del mio vivere la musica. Vero è che il suono, in quanto elemento creativo essenziale, al di là di una contestualizzazione culturale e storica, vive di totale autogiustificazione. È affascinante pensare come nei testi sacri ci si riferisca al suono come all’elemento creatore. Il Vangelo di Giovanni apre con “all’inizio era il verbo”, vale a dire il suono. Con esso Dio crea: dunque, la parola è creatrice e non solo. San Giovanni Crisostomo, addirittura, parla di intenzionamento del suono, vale a dire che la parola si santifica nell’intenzione. Dio avrebbe quindi mescolato melodia e profezia. Il potere della parola: crea o modifica oggetti, persone, movimenti, dinamiche, sentimenti e può ferire. Nelle tribù sciamaniche, lo sciamano attribuisce a ciascun membro della tribù un suono che deve restare segreto. Qualora qualcuno ne venisse a conoscenza, avrebbe facoltà di rubare l’anima alla persona.

Poi c’è la contestualizzazione storica e culturale. Siamo immersi nella contingenza del nostro tempo e in continuo confronto con la società che ci accoglie. Da questo confronto percettivo con il reale nasce la necessità di creare e tradurre i vari stimoli che tale collisione genera; nel mio caso un confronto sonoro e percettivo.

Inconscio, tempo e suono, tre fattori in comune nella Musica e nella Psicoanalisi, potrebbe approfondire, in particolare, il rapporto parola/suono?

Naturalmente, risponderò da musicista e da poeta e soprattutto in relazione alla mia estetica. Penso che la psiche ci parli come quando si ascolta la musica, tramite intuizioni creative che si amplificano nel nostro corpo: l’inconscio sembra vibrare tramite il suono. Il suono della parola, il suono della musica.

La parola, che è un tipo specifico di produzione sonora, annovera fra i suoi strumenti fondamentali l’ascolto e l’interpretazione. Abbiamo una sorta di capacità di conservazione del suono, come prolungamento dell’esistenza della musica/parola stessa.

Si determina quello che Bergson chiamava “tempo creativo” (che poi ritroviamo in Proust), vale a dire un tempo non cronologico, bensì interiore in diretta relazione con la psiche. Le strutture formali dei brani, ma anche di singoli frammenti possono generare il “ricordo”, in un tempo non spazializzato, ma in riferimento ad una misura in cui la durata è determinata dalla concreta esperienza interiore.

Personalmente, in relazione al rapporto parola/suono, non faccio molta distinzione fra musica e poesia, perché la parola ha sempre un aspetto semantico ed uno fonetico, dunque sonoro tout court. Se pensiamo a liriche come “L’infinito” di Giacomo Leopardi, ci rendiamo conto come il suono di alcuni fonemi crei una sorta di effetto onomatopeico del vento di cui parlano i versi, tanto che quando il vento viene nominato, lo abbiamo già udito. Mi soffermo su questa lirica perché è particolarmente significativa a riguardo. “L’infinito” è un testo molto difficile da interpretare per gli attori, perché in pochi istanti ci proietta da una dimensione descrittiva del paesaggio – ipotiposi, come tecnica descrittiva che poi ci proietta nel dettaglio della narrazione – per trasportaci in una dimensione interiore (l’ipotiposi diviene simbolica). Tutto ciò avviene mediante il suono: “… e come il vento… io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando…”, un vento dello spirito reso tramite consonanti fricative sibilanti e non sibilanti. È chiaro che la potenza delle dinamiche misteriche del suono diviene sensibilmente/inconsciamente/spiritualmente “tangibile”.

Il suono penso abbia il potere di “bucare” qualsiasi sovrastruttura, sociale e personale, per proiettarci verso la cosiddetta Verità (lo dico un po’ poeticamente parafrasando Pascoli).

Storicamente, nella musica occidentale, la parola e la musica si sono relazionate in rapporto di varia tipologia: penso a Wagner e a dimensioni novecentesche, totalmente in opposizione…

La diversa relazione fra musica è parola, con rapporti variabili, è alla base della storia della musica occidentale. Lei ha citato Wagner: per Wagner la musica senza la parola risultava imperfetta, perché incapace di veicolare significati e vedeva in Beethoven una sorta di Cristoforo Colombo che intuì la necessità di inserire la parola nel genere sinfonico, come avvenne nella Nona Sinfonia. Il Novecento è ricco di una molteplicità di approcci totalmente contrastanti e complementari, soprattutto in relazione alle avanguardie storiche.

Cito un paio di compositori a titolo esemplificativo. Nella vocalità del Berio della sequenza per voce sola, l’aspetto fonetico sovrasta totalmente quello semantico, a tal punto che il divenire delle figure presentate cattura l’attenzione dell’ascoltatore in una ricezione totalmente astratta, di moti interiori. Si entra in un argomento molto complesso (non riducibile a poche righe e che esula dallo scopo della nostra intervista), vale a dire nell’ambito dei vari atteggiamenti compositivi della composizione contemporanea. Citerei la visione interna al suono propria di Giacinto Scelsi e che definiva dimensione sferica. Pensi al canto di un Guru indiano: ascoltiamo delle nuances di intonazioni molto vicine fra loro (intervalli minori di un semitono per intenderci): è chiaro che in una dimensione sferica, il semitono diventa un ambito enorme; mentre da un’altra angolazione, più tradizionale, nel sistema temperato, si configura come la distanza più piccola fra le altezze. Il significato muta al mutare della prospettiva dalla quale si inquadra un oggetto sonoro. In questo senso, più che mai penso che nella società di oggi, in questo momento storico, il concetto di possibilità e quello di necessità possano coincidere.

Ricordo che in un suo brano intitolato “Metamorfosi d’amore” ci sono riferimenti alla guarigione della psiche proprio in relazione alla situazione dell’uomo nella società di oggi. Un lavoro importante che le fu commissionato dalla Mitteleuropa Orchestra di Udine e dall’Orchestre National de Bretagne di Rennes in Francia. La prima esecuzione italiana ricordo era inserita nell’ambito della rassegna “Conversando con Psiche”. Quale fu la relazione fra il tema proposto e il suo concerto?

Metamorfosi d’amore è un doppio concerto per flauto, violoncello e orchestra preceduto da un monologo o, meglio da un dialogo fra la componente maschile e femminile della psiche. Alla base della creazione del brano si trova, dunque, la riflessione sulla necessità d’amore nell’equilibrio fra le componenti fondanti della psiche umana. Tuttavia, diverse suggestioni e stimoli sono confluiti nella realizzazione di Metamorfosi d’amore. Da un lato, il bimillenario della morte del poeta latino Ovidio, autore delle Metamorfosi e dell’Ars Amandi, capace di stilizzare miti e leggende della tradizione classica in un virtuoso cadenzare metrico che si apre ad intuizioni archetipiche ed a significazioni suscettibili di molteplici interpretazioni. D’altro lato, il concetto contemporaneo di mutazione come metamorfosi interiore e del corpo, come pure della dimensione maschile e femminile della psiche umana. Tale dualismo e conflitto nel cuore stesso dell’uomo lo aveva denunciato il poeta latino in tempi remoti: “Video meliora proboque, deteriora sequor”.[1]  Dunque, nell’imperfezione umana si realizza la manifestazione di amore.

Da un’angolazione diversa, le relazioni fra dei e umani della mitologia classica, di cui le Metamorfosi di Ovidio rappresentano una sorta di compendio, sembrano orientarsi verso una espressione della sensualità in direzione di un’astrazione formale. Quanti legami sembra avere la cangiante prospettiva di Ovidio con Il Cantico dei Cantici biblico, con la relazione Sposo-Dio, Sposa-Israele; con lo sposo amore che penetrando la sposa, la purifica. Simbolicamente, musicalmente, ho inserito, a tal proposito, un Valzer nel brano con valore di richiamo al concetto di erotismo come archetipo storico.

Capograssi esprimeva in Lettere a Giulia[2] dell’importanza di amare: “si vive solo quando si ama”, dichiarava il filosofo. L’amore come cura, come bisogno che ci trasforma, in una metamorfosi d’amore che guarisce le ferite del nostro passato; le componenti maschili e femminili nelle dinamiche del vissuto (dunque nella relazione e/o confronto con il reale, ma anche nel conflitto interiore proprio di ciascuno di noi). La “dialettica spirituale” che si innesta non ha necessariamente natura patologica, ma probabilmente si configura come la naturale esperienza dell’uomo contemporaneo. Dunque, il concetto di metamorfosi umana, della psiche, all’ingresso di amore. Una tale visione dona nuova luce all’antico, quanto sedimentato, topos di Psiche e Amore (stavolta dalle Metamorfosi di Apuleio). Il dipinto Psyché et l’Amour di Francois Gérard, come pure la scultura di Antonio Canova, mostrano come Principessa Psiche sia sorpresa dal bacio dell’invisibile Cupido. Una storia d’amore, un’allegoria metafisica, in questo caso, del tema neoplatonico dell’unione dell’anima umana e dell’amore divino.

Nella composizione del brano un significato particolare assume, musicalmente, la scelta dei solisti: il flauto, antropologicamente uomo-dio e donna-violoncello, umanità. Strutturalmente il brano, nella sua metamorfosi dinamica, assume, nelle varie configurazioni, significati sempre diversi. Ciascun elemento viene inquadrato da diverse prospettive al fine di restituire, nella sua proliferazione gestuale, un’unità dei contrari, Oggi, necessaria.

Dottoressa Lucattini, la psicoanalisi dialoga con la musica: parole, suoni, ritmo, pause, silenzio e inconscio, quali sono i significati più intrinsechi di questo legame?

La psicoanalisi si è sempre interessata al rapporto tra inconscio e musica. Sigmund Freud seppur affermasse di non avere una sensibilità musicale, ebbe sempre uno spiccato interesse per la musica. Infatti, alle “riunioni del mercoledì” nella sua abitazione viennese, partecipava tra gli altri anche il musicologo e critico musicale Max Graf, il padre del piccolo Hans di cui Freud si occupò a causa fobia dei cavalli del bambino. Graf scrisse alcuni importanti saggi, tra cui “L’olandese volante di Wagner” (1911) ed uno scritto sulla psicologia del processo conoscitivo (1947) che Freud fece pubblicare nella rivista “Imago”, da lui fondata, di psicoanalisi applicata.

Lo psicoanalista Antonio Di Benedetto con grande sensibilità scrive che “l’esperienza estetica da sempre ha avuto un carattere anticipatorio per la sua forza di disvelamento del caos sensoriale e pulsionale in forme immaginative: attingendo a questo patrimonio con pura sensibilità estetica, l’analista deve accogliere nel suo campo d’ascolto l’inaudito del paziente. Nella stanza di analisi l’ascolto è diretto verso qualcosa che tenta di parlare o di essere parlato”. Lo sviluppo del ritmo e del tempo interno, il timing, è cardine dei processi della soggettivazione e della simbolizzazione. Tutta l’esistenza è scandita dal ritmo del tempo, dettato dall’alternarsi dei suoni e delle pause che attribuiscono senso al suono stesso.

Lo sviluppo psichico ha come dato primigenio imprescindibile il pulsare del cuore materno che accompagna la voce, i movimenti ritmici e le vibrazioni avvertiti dal bambino nel grembo della madre. “Il ruolo che il nucleo fonico della parola e la voce svolgono in quanto legami fondamentali con le emozioni, il corpo, il sessuale e l’infantile. Tutti questi elementi trovano una loro articolazione nell’attività naturale, ma non per questo meno complessa, dell’ascolto, che trasmette una dimensione polifonica e tridimensionale del mondo, così importante sia in musica sia in psicoanalisi”[3]

Spesso sentiamo parlare di Musicoterapia, quanto può essere utile alle persone e in particolare nei bambini?

La musicoterapia è una specifica tecnica terapeutica che s’inserisce nell’ambito delle tecniche utilizzate nella cura psicoanalitica, guidata dalla teoria e dal metodo psicoanalitico, sempre all’interno della relazione tra l’analista e il suo paziente.

La musica è utilizzata per ridurre il dolore mentale del paziente poiché offre la possibilità di esprimersi senza e oltre le parole. Inoltre, cantare, suonare, scrivere canzoni, ascoltare la musica facilita lo scarico della tensione e il rilassamento psicofisico.  La musica come “terapia naturale” è conosciuta fin dalla notte dei tempi, è infatti noto che agisce positivamente su aspetti fisici, emotivi, psichici, estetici e spirituali, aiuta a migliorare la salute corporea, il benessere generale e la qualità della vita. Ogni momento della vita è accompagnato da una personale “colonna sonora”, quella che definisco “la musica transizionale” poiché tangibile sensorialmente attraverso l’ascolto e le vibrazioni ritmiche, e simbolica al tempo stesso. La musica, esattamente come ogni oggetto transizionale, funge da innesco per ricordi e stati d’animo positivi che aiutano ad affrontare i momenti di difficoltà.

L’efficacia della musicoterapia, di cui si occupano musicoterapeuti e psicoterapeuti formati, è dimostrata da numerosi studi scientifici ed è un trattamento ormai consolidato all’interno della comunità scientifica internazionale. Le tecniche ed esperienze cliniche di musicoterapia includono l’ascolto, il canto, l’esecuzione attraverso vari strumenti musicali e la composizione musicale.

La musica come terapia è utilizzata per ridurre lo stress, favorire il miglioramento del tono dell’umore e promuovere l’espressione di emozioni ed entrare in contatto con aspetti profondi sé stessi. Poiché la musicoterapia una cura, ai pazienti non sono richieste particolari conoscenze o talenti musicali. Come attività riabilitativa è adottata nel trattamento della disabilita psichica e nella terapia multimodale delle sindromi psicotiche.

Ogni bambino fruisce e sperimenta la musica sotto varie forme, i genitori cantano o accompagnano la vita e l’addormentamento dei loro piccolini con musiche appropriate o che loro stessi amano, crescendoli a “pane, musica e amore”.

Inoltre, nei bambini la musica è un’esperienza condivisa con i genitori o con adulti affettuosi che si occupano di loro, per questo ne rafforza il carattere e consolida la struttura del Sé. La possibilità di ascoltare, cantare, mettersi alla prova con uno strumento, affascina e appassiona i bambini, curiosi per natura. La musicoterapia è concepita per favorire lo sviluppo psicologico ed emotivo, offre l’opportunità di scoprire di sé stessi, di sperimentare emozioni nuove e dare loro una forma attraverso il gioco, com’è naturale nell’infanzia. La musica in generale e la musicoterapia come ampliamento delle capacità espressive, offrono ai bambini una possibilità di crescita e sviluppo armonico mente-corpo, conscio-inconscio attraverso la sensorialità, la vicinanza con un adulto e il fare gruppo con altri bambini.

Il linguaggio emotivo evocato dalla musica è spesso simile alla psicoanalisi?

 La musica e la psicoanalisi si rivolgono e parlano all’inconscio in modo diretto: sensoriale e immaginifica la musica, mediata anche da pensiero e parola la psicoanalisi. Inoltre, la psicoanalisi esplicita e rende comprensibile ciò che la musica evoca, attribuisce senso e dà significato alle emozioni che percepiamo rendendole comprensibili, gestibili, utilizzabili.

Già l’infant research e più di recente le neuroscienze, hanno evidenziato la funzione essenziale del ritmo e della musicalità nei primi scambi madre-neonato. In particolare, Jaak Panksepp e Colwyn Trevarthen[4] (2009)  hanno individuato nella musicalità umana un “sistema motivazionale autonomo” e ipotizzato che gli stimoli musicali possano “modulare l’espressione di specifici geni del cervello umano, dando luogo a trasformazioni epigenetiche permanenti”. L’importanza attribuita alla musica già nelle primissime relazioni madre-bambino e padre-bambino, è stata evidenziata già nei primi giorni di vita. Il neonato, Infatti, è in grado comprendere sequenze strutturate di suoni, soprattutto se questi hanno gli stessi ritmi dei processi fisiologici materni uditi durante la gravidanza (il battito cardiaco della madre, il suo respiro) e anche suoni e melodie provenienti dal mondo esterno.

Il silenzio e il dialogo interiore: crede che la natura musicale dell’inconscio possa aprire nuovi spazi alla ricerca psicoanalitica?

 Certamente, Il silenzio e il dialogo sono come le pause e le note in un brano musicale. Qualunque discorso come ogni musica necessita, per esistere e avere una forma che ne racchiude il significato più profondo, di un’alternanza tra suono e silenzio, è proprio da questa alternanza che nasce il ritmo.

È interessante notare come la parola ritmo derivi dalla parola greca ῥυθμός (rhythmòs) caratterizzata dalla “theta” (t)e la “mi” (m) che onomatopeicamente riproducono proprio il ritmo del cuore il ritmo: TH-M, sistole-diastole. Quindi il ritmo e la stessa parola che lo definisce, nascono dall’ascolto del battito cardiaco, dal suono e dalla pausa che generano vita e mantengono vivi.

La vita del corpo e la vita della mente sono indissolubilmente legati, la musica nasce come espressione dell’unità somatopsichica, da essa viene sentita immaginata, pensata, creata ed espressa. Attraverso il corpo e la mente possiamo ascoltarla e nutrircene.

Numerosi studi psicoanalitici hanno già iniziato questo percorso di ricerca sia in Italia che all’estero. Studi molto interessanti hanno evidenziato il rapporto fra l’interpretazione psicoanalitica e quella musicale; altri hanno approfondito il tema dell’ascolto musicale all’interno della relazione analitica. Altri ancora hanno esplorato la relazioni tra espressione musicale e le varie forme che assume la sofferenza psichica. Indubbiamente, molti aspetti si prestano ad ulteriori approfondimenti ed investigazioni. La musica, poiché affonda le sue radici nell’inconscio più profondo, si presenta come un’area aperta a ulteriori studi ed esplorazioni future.  In quanto capace di intercettare gli “stati primitivi della mente” ovvero il funzionamento psichico dei primissimi anni di vita, si pone come cardine per ulteriori ampliamenti teorici ed estensioni del metodo psicoanalitico. Allo stesso tempo, lascia spazio a nuove applicazioni tecniche nel lavoro clinico con i pazienti in analisi.

Il filosofo e musicologo francese Vladimir Jankélévitch, con le sue parole, ci illumina mirabilmente su questa intersezione: “Dove la parola manca, là comincia la musica; dove le parole si arrestano, l’uomo non può che cantare”.

[1] Vedo il meglio e l’approvo, ma seguo il peggio pronuncia Medea – nel Libro VII delle Metamorfosi – che per l’amore di Giasone viene meno ai propri doveri.

[2] Capograssi G., Pensieri a Giulia [1918-1924], Bompiani, Milano, 2007.

[3] Grassi L., The Sound of the Unconscious. Psychoanalysis as Music, London, Routledge, 2021.

[4] Panksepp J., Trevarthen C., The neuroscience of emotion in music. In Communicative musicality: exploring the basis of human companionship, Oxford, Oxford University Press, 2009.
Marialuisa Roscino

Ultimi articoli