Lo sport d’élite ha un serio problema con l’alimentazione e con le conseguenze psicologiche e fisiche di una ostinata e ossessiva ricerca della perfezione dei canoni estetici, prim’ancora che di quelli fisici. Se nelle scorse settimane i titoli dello scandalo se li è presi il mondo della ginnastica ritmica, con le denunce delle atlete e le ricostruzioni dei giornali, il problema, verrebbe da dire, è invece quasi endemico nello sport.
Lo scrive Antonella Bellutti, olimpionica ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e di Sydney 2000 in due differenti discipline del ciclismo su pista, nella sua rubrica odierna su The SpoRt Light, illuminante, anche su un certo atteggiamento da parte dello sport stesso. «Ho deciso di usare questo spazio per raccontarmi – scrive Bellutti – perché non si dica che è il mondo della ginnastica quello sbagliato o che i fatti alla cronaca in questi ultimi giorni sono eccezioni, casi sporadici». E la domanda che crea ansia è sempre la stessa: «Come stiamo a peso?».
«Come accade alla maggior parte degli atleti di alto livello, vivevo fuori casa più di dieci mesi all’anno. La sveglia quotidiana si ripeteva col solito rito della macchina della verità ovvero la bilancia impedenziometrica i cui speciali sensori riescono a valutare la densità dei tessuti attraverso la resistenza che il corpo oppone al passaggio di una lieve corrente. Non si sente nulla, non è una scossa elettrica ma l’effetto psicologico, a lungo andare, è abbastanza simile. Ci salivo dopo una lunga e silenziosa espirazione, perché chi è ossessionato è convinto che anche l’aria contenuta nei polmoni influenzi il peso. Appoggiavo i piedi nudi con la massima delicatezza possibile, sperando che il verdetto mi restituisse la cortesia e attendevo: chili totali, massa magra, massa grassa, la terna fatidica dei numeri da cui dipendeva la mia autostima. E il rispetto dello staff. Questo e molto altro è quanto riportavo nel 2017 nel libro “La vita è come andare in bicicletta”, la mia autobiografia alimentare in cui, descrivendo i passaggi che mi hanno portato a scegliere il veganesimo, cerco di accendere l’attenzione sul fenomeno dei disturbi del comportamento alimentare nello sport. Inutile dire che dei numerosi inviti di presentazione mai uno mi è arrivato da parte del mondo sportivo».
Il tema è rilevante e lo sport, soprattutto quello femminile, troppo spesso nasconde la polvere sotto il tappeto, spiega ancora Bellutti: «In un’epoca in cui la parola sostenibilità si spreca ovunque, interrogarsi sull’insostenibile equilibrio tra essere persona, essere macchina da performance e essere una macchina da prestazione che deve rispecchiare canoni di estetica fisica secondo parametri stabiliti a tavolino è un dovere che il CIO ha nei confronti di sé stesso e dello sport, prima ancora che nei confronti delle sue protagoniste femmine: perché si sa che in tutto questo discorso, seppur trasversale, essere donna è un’aggravante».
https://www.thesportlight.net/2022/12/01/il-mio-rapporto-con-il-peso-dello-sport/