E quell’insegnare agli studenti un futuro da cittadini consapevoli
Vivere in società ci permette di godere di alcuni vantaggi che da soli non potremmo mai ottenere. Nessuno di noi, da solo, potrebbe realizzare e avere a disposizione ospedali, strade, scuole, sicurezza… se non esistessero altre persone che hanno studiato e lavorato per fornire alla comunità supporti e servizi. Ma struttura e stabilità della società si basano su regole che, nel caso della nostra, si possono riassumere fondamentalmente sul rispetto dell’altrui persona.
Si manca di rispetto al prossimo con parole o con i fatti, denigrandone il genere, la religione, le idee, il colore di capelli o pelle… Può avvenire involontariamente, per ignoranza o per errore, ma si offende anche perché, soppesati i pro e i contro, si mette il proprio tornaconto personale davanti a quello della comunità che comprende noi stessi.
In entrambi i casi citati, la scuola ha le sue colpe perché non è riuscita nell’intento di insegnare ai suoi studenti a divenire cittadini consapevoli. La scuola dovrebbe condurre ciascuno a permette di riconoscere sia il proprio diritto ad essere libero di esistere e vivere come meglio desidera, sia comprendere che i propri diritti hanno lo stesso valore di quelli altrui e che quindi esiste un limite che alla propria libertà viene posto dal necessario rispetto della libertà degli altri.
La realtà quotidiana ci mostra invece il fallimento della scuola. Ci illustra la sottomissione dei docenti alle rimostranze di genitori che suppliscono al loro mancato amore per i propri figli, con una difesa strenua dei loro atti illegali e la conseguente perdita dell’insegnamento al rispetto del prossimo ed al diffondersi della prevaricazione dell’uomo sull’uomo.
Il danno viene commesso dai docenti che sorvolano sugli iniziali minimi errori dei loro alunni. Per i bambini e gli adolescenti, le “violazioni” al corretto vivere civile sono solo momenti di crescita e di conoscenza, sono momenti spesso necessari. Il grave errore è farsi una risata sulla parolaccia, sulla battutina sciocca, sull’atto irriverente che il bambino ha commesso e che ora interpreterà come “si può fare” e andrà oltre, superando il limite che dalle chat dal linguaggio sfrenato e volgare arriva fino alle baby gang che rubano e uccidono. Diciamo che è mestiere di chi sta crescendo quello di violare le regole, ma obbligo per qualsiasi adulto è far comprendere che la serena vita civile non può rimanere tale se si tollerano certi atteggiamenti.
Non si tratta di “punire” il colpevole dell’atto, ma di insegnare, far “capire” che l’atto è sbagliato. Ma attenzione: non si insegna mai nulla per costrizione, ma solo facendo comprendere, con il proprio esempio e le proprie spiegazioni date con amore, perché l’atto sia sbagliato. L’imposizione dall’alto spingerà a ripetere il gesto per affermare la propria libertà soffocata con la punizione, l’imposizione dell’adulto. Si apprende per emozione non per obbligo. Solo ciò che si è “vissuto” (nella realtà o solo con i neuroni specchio) non si dimentica più.
Riccardo Agresti, preside