L’idea del parallelismo con la legge. Con buona pace di… Fabrizio De André
Mi sono sempre chiesto come facciano i giudici a sentenziare senza timore di commettere l’errore di condannare un innocente. Tempo fa lo chiesi direttamente ad uno di loro e la risposta mi stupì: “Noi non pretendiamo di essere giusti, noi semplicemente applichiamo la Legge”. Mi spiegò che forze dell’ordine, avvocati, pubblici ministeri presentavano le prove a favore o contro e loro “semplicemente” verificavano se, in base alle norme di Legge, quanto mostrato fosse un reato o meno e sentenziavano di conseguenza. In estrema sintesi, non
conta la morale del singolo giudice, ma ciò che è scritto nelle norme di Legge e il senso lo spiega la canzone di De Andrè nel verso che racconta che anche se il re non volesse, il giovane Geordie deve comunque essere impiccato perché la Legge è superiore al re. La prassi scolastica prevede che si insegni con le parole e con l’esempio, che si tenti di far comprendere eventuali errori con strategie gestionali personali, per fare in modo che ciò che alla età dei nostri discenti si riduce ad un allontanamento dalla comunità scolastica (per riflettere sull’errore e sulla necessità di rispettare il prossimo), non si paghi pesantemente ad età superiori ai 18 anni per far comprendere che se si vive e si gode dei benefici dello
stare in società, occorre rispettarne i membri. L’applicazione del regolamento disciplinare non può prevedere che le decisioni siano prese “a maggioranza”, non tanto perché si sia memori di chi abbia assolto Barabba condannando un Innocente, ma soltanto perché il
Consiglio di classe non è un tribunale, ma solo un organo che desidera insegnare. Il nostro regolamento è sufficientemente chiaro, dettagliato e preciso, è stato approvato unanimemente da docenti e genitori democraticamente eletti a far parte del Consiglio di
Istituto, frutto di continui aggiornamenti e miglioramenti, ed è stato reso noto a tutti gli studenti nell’ambito di educazione civica. Pertanto, se il regolamento prevede una
determinata reazione, non solo non ha senso pretendere una soluzione diversa, ma chiedere soluzioni diverse è addirittura offensivo sia verso l’organo supremo della Scuola (il Consiglio di Istituto che lo ha deliberato), sia verso se stessi (se non si è protestato per tempo contro una delibera eventualmente giudicata errata). Insomma, non può esistere una obiezione di coscienza né una maggioranza che possano sovrastare una norma
democraticamente stabilita e mai contestata, allo stesso modo in cui il re non può salvare Geordie. Violare il regolamento significa violare la democrazia, significa mancare di rispetto a chi ha stilato e votato quel regolamento, significa autodefinirsi ignorante o incapace a
leggere una norma e le sue conseguenze, significa pretendere di credersi al di sopra di chi ha democraticamente deliberato, significa volere l’anarchia del “la Legge vale per gli altri e non per me”.
Riccardo Agresti, preside