12 Novembre, 2024
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Lazio, Coldiretti: “-8% frutta a tavola con caro pezzi e cambiamento climatico”

Crollano dell’8% gli acquisti di frutta da parte degli italiani nel 2022, a causa del caro prezzi e del cambiamento climatico che ha decimato i raccolti. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Cso Italy in occasione della Giornata nazionale della frutta italiana al Villaggio della biodiversità contadina della Coldiretti a Cosenza in Calabria. E proprio a Cosenza oggi sono scesi in piazza i giovani agricoltori della Coldiretti, per fermare la strage di piante da frutto, che sta provocando la desertificazione dei territori, con drammatici effetti sui consumi nazionali e sul clima, l’ambiente, il paesaggio e la salute degli italiani. Addio, infatti, a oltre 100 milioni di piante di frutta fresca in Italia negli ultimi quindici anni con la scomparsa che riguarda tutte le principali produzioni, dalle mele alle pere, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine mentre in controtendenza tengono solo il cedro e il bergamotto.

Una riduzione dei consumi del 17% per le pere, del 11% per le arance e l’uva da tavola, dell’8% per le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% per le mele. Un brusco calo che ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona, da mangiare in più volte al giorno, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per una dieta sana.

A livello generale le mele rappresentano il frutto nazionale più consumato, al secondo posto ci sono le arance, mentre sul podio salgono anche le clementine. In controtendenza rispetto al dato generale si registra un aumento degli acquisti direttamente dal produttore e nei mercati contadini, secondo un’analisi effettuata da Fondazione Campagna Amica nella rete di vendita diretta degli agricoltori, la più grande d’Europa. A spingere le vendite della frutta locale è soprattutto la garanzia della stagionalità e della maggiore genuinità e freschezza del prodotto, che non essendo soggetto a lunghi tempi di trasporto, dura di più e, conseguentemente, azzera gli sprechi, rispetto soprattutto a quello proveniente dall’estero, spesso anche di minore qualità.

Il consiglio della Coldiretti é di verificare in tutti i punti di vendita sull’etichetta o sui cartellini l’indicazione obbligatoria della provenienza.

Nel Lazio, stando ai dati Istat dell’ultimo censimento generale dell’agricoltura, sono presenti complessivamente oltre 48 mila aziende con legnose agrarie. Nello specifico le aziende che coltivano il melo sono oltre 1.500, su una superficie complessiva di 364 ettari e oltre mille quelle che si occupano della coltivazione del pero che si estende su 323 ettari. Sono, invece, 219 quelle che coltivano anche altre pomacee su 46 ettari. Per il pesco troviamo più di 1.300 aziende su 922 ettari e 168 aziende per la nettarina, che occupa una superficie di 72 ettari. La coltivazione dell’albicocco coinvolge più di 1.150 aziende su 291 ettari di terreno, mentre per la coltivazione dell’uva da tavola su una superficie di circa 500 ettari, troviamo 741 aziende.

“E’ importante valorizzare i prodotti base della dieta mediterranea – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – a partire proprio dalla frutta e dalla verdura, ricostruire il legame che unisce i prodotti dell’agricoltura con i cibi consumati ogni giorno e fermare il consumo del cibo spazzatura”, che aggiunge: “Coldiretti sta portando avanti tra i numerosi progetti, anche quello di “Educazione alla Campagna Amica”, che solo nel Lazio coinvolge oltre cento scuole con la partecipazione di 10 mila alunni delle scuole elementari e medie, che partecipano a lezioni in programma nelle fattorie didattiche, mei mercati contadini e nei laboratori del gusto organizzati nelle aziende agricole e in classe con l’obiettivo di formare dei consumatori consapevoli sui principi della sana alimentazione e della stagionalità dei prodotti”.

Sul settore pesano poi i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42% con un impatto traumatico sulle aziende agricole. Ma a colpire la filiera è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere con la frutta Made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. Alle barriere commerciali si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia, che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea.

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