Ipocrisia: “Simulazione di virtù, di devozione religiosa e, in genere, di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”.
Perché iniziare citando la “Treccani”? Perché fra pochi giorni ci sarà la ormai classica festa/cerimonia/condivisione delle soddisfazioni ottenute e grandi emozioni per alunni, genitori, docenti per omaggiare e gratificare le ragazze e i ragazzi che avranno ottenuto il massimo della valutazione (“10” o “10 e lode”) agli esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione presso gli istituti comprensivi “Corrado Melone” e “Don Lorenzo Milani” e, come ogni anno, ci sarà la solita “alzata di scudi” di persone scandalizzate del fatto che la Scuola riconosca i risultati dell’applicazione, della bravura, dell’impegno, dell’intelligenza e della passione di chi studia ed ha raggiunto gli obiettivi di apprendimento prefissati e debitamente tarati sulla persona in caso di presenza di disabilità, bisogni speciali eccetera.
È vero, tutti sappiamo benissimo che per il figlio di un professore universitario (felicemente sposato con una poetessa la cui villa sia frequentata da amici artisti, registi, giornalisti, intellettuali…) riuscire a parlare con correttezza in italiano sia molto più facile che per il figlio di un alcolizzato (che picchia giornalmente la moglie che vive in uno scantinato senza l’ombra di un libro o di un giornale, ma sempre connessa tramite il telefonino con il quale viene controllata la sua mente). Tuttavia, nessuno grida allo scandalo quando il primo prende “10” in un compito di italiano ed il secondo si ritrova il compito tutto segnato in rosso con una valutazione insufficiente. Ma la scuola, e le due Scuole citate lo fanno, deve o dovrebbe sempre porsi l’obiettivo di offrire a tutti le stesse opportunità perché secondo quanto affermava Don Lorenzo Milani <<Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati>> anzi <<Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico a un livello pari dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più di tutto.>>.
Comprendiamo quindi tutti benissimo che, alla Scuola primaria, la valutazione data ad un bimbo è, in fondo, una valutazione del suo status sociale e non offre alcuna valutazione dell’impegno e le capacità che a quella età non è in grado di attuare perché non ha capacità decisionali reali.
Sappiamo anche tutti benissimo che non tutti, fra i docenti, riconoscono il vero senso della valutazione (che dovrebbe essere semplicemente un indicatore della correttezza del metodo e del percorso di studio e non dei risultati raggiunti né un premio o una punizione) e tutti sappiamo benissimo che al momento dello scrutinio molti docenti realizzano miracoli, quasi fossero santi, trasformando dei miserrimi “3” in rotondi “6”.
Sappiamo, infine, che pochi genitori seguono i propri figli e ne controllano l’andamento scolastico cercando di supportarli nell’affrontare piccole sconfitte (magari nate da un eventuale disimpegno) o gratificandoli (quando mostrano di avere compreso dei concetti difficili); in generale molti si limitano a chiedere clemenza ai docenti o pretendono voti più alti senza spiegazioni.
Ma quale senso ha la valutazione?
Nello sport e nelle competizioni il suo senso è chiaro: se si è giocato alla pari (cioè mettendo in campo solo le proprie capacità, senza supporti extra che altri, per regolamento, non hanno messo in campo, e.g. sostanze, soldi, politica, potere eccetera), si vince se si è stati più bravi e si perde se si sono commessi più errori dei competitori. I “migliori” sono coloro che hanno avuto valutazioni, risultati “migliori”.
Nello studio il senso della valutazione è l’avere studiato meglio e a sufficienza. Se si studia, se ci si impegna, si riesce a dimostrarlo non commettendo errori nelle prove scritte ed orali, raggiungendo gli obiettivi fissati dai docenti, a meno di problemi fisici o psichici personali che, al giorno d’oggi, sono certificabili e di cui i docenti seri sanno tenere conto, ma che spesso i genitori non vogliono riconoscere quasi fosse una sconfitta la presenza di una malattia o una defaillance nei figli. Nello studio la valutazione è importante perché è quel feedback, proveniente da chi ha competenze, necessario per comprendere se si stia seguendo il corretto metodo di studio, in quanto ad efficacia ed efficienza. Ovviamente il voto alla secondaria prende in considerazione molteplici aspetti, non solo il risultato raggiunto, ma anche il miglioramento, la socialità, la provenienza sociale, la sua evoluzione, aspetti che man mano si cresce, divengono meno importanti fino all’Università dove l’unico aspetto considerato è la conoscenza dei concetti studiati ed il loro approfondimento. Ovviamente sono i risultati ad essere “migliori”, ma i ragazzi che hanno ottenuto i risultati migliori sono persone splendide anche sotto moltissimi altri punti di vista, oltre quello prettamente didattico, e sono sparute eccezioni i ragazzi che pur avendo ottenuto il massimo, sono spregevoli sotto altri aspetti (il caso di Rovigo ne è un chiaro esempio).
Ad essere attenti, occorre ammettere che se nello sport, gareggiare con aiuti extra è considerato sconveniente e scorretto, invece, nello studio l’aiuto extra proviene proprio dalla famiglia e dal suo status sociale. Per avere la parità richiesta nello sport, occorrerebbe attuare l’ipotesi di Platone di togliere i figli alle famiglie (e quindi eliminare i gap sociali e culturali mettendo alla pari tutti i giovani). Comprendiamo bene che questa ipotesi non sia percorribile e non dimentichiamo che le ideologie che mirano alla parità sociale sono messe al bando nella nostra cultura. Conseguentemente occorre prendere atto che ci saranno sempre ragazzi avvantaggiati (dall’esempio dei genitori, dal facile accesso alla cultura, da motivazioni sociali eccetera) ed altri svantaggiati di default, ma nessuno grida mai allo scandalo.
In sintesi, nessuno si “accorge” che il “voto” ha pochissimo da dire come giudizio per i bambini della primaria che ancora non sono in grado di agire autonomamente e che invece alla secondaria indica sì i migliori (cioè ragazzi che ora hanno capacità di comprendere e di riscattarsi dal proprio status sociale), ma in una “gara” dopata dall’aiuto delle famiglie e della società che non è uguale per tutti.
Tutti, quindi, accettano quella “classificazione” imposta dalla Legge, perpetrata dalla Scuola, stilata dai docenti, nella quale “10” significa il massimo e “1” significa il minimo, cioè una scala numerica in cui sono indicati i migliori nei risultati dello studio. Ma se questa scala è accettata senza battere ciglio ed il senso è chiaro a tutti, perché essere ipocriti e contestare la cerimonia di gratificazione dei migliori indicati dai docenti e accettati dai genitori?
Migliore: “Riferito a persona, colui che, per qualche singolo aspetto o sotto ogni aspetto, è superiore a tutti gli altri” (dalla Treccani).