Di due mesi fa la notizia del suo male, anche se l’ho visto intervenire lucidamente fino a fine maggio a Teleroma 56 nella trasmissione di Plastino, una sorta di fratello calcistico.
Era un campione assoluto mai del tutto sbocciato, forse per colpa di un grave infortunio che ebbe a 18 anni (l’anno del terzo posto), forse per la tendenza ad ingrassare e a non fare vita da atleta, forse perchè senza quel genio di Maestrelli molti di quei laziali si persero per strada e chissà come sarebbe stata la loro carriera se il Maestro fosse vissuto più a lungo.
Ma a D’Amico sono legati grandi ricordi di magie e di lazialità, visto che ha praticamente giocato nei biancocelesti per tutta la carriera, tranne una parentesi al Torino di un anno con la Lazio in B (salvo tornare per amore della maglia, rinunciando a svariati soldi), e due anni a Terni a fine carriera.
D’Amico era quello del calcio nel sedere datogli da Chinaglia a San Siro per farlo impegnare di più, di Wilson che gli si siede accanto a tavola per non farlo mangiare quanto vorrebbe e che si fa portare i panini in camera dalle cameriere; quello di un Lazio-Catanzaro nel 1980 con lui e un manipolo di ragazzini per salvare (inutilmente) la Lazio dalla B, chiusa 2/0 con un suo gran gol; della tripletta al Varese di Fascetti in un Lazio-Varese 3/2, quando segna col calzettone insanguinato; della doppietta a un derby finito 2/2 fra una squadra che giocava la finale di Coppa Campioni e una quasi in serie B.
Vincenzo, per usare le parole di De Gregori, era “scintillante bellezza, fosforo e fantasia”, alcune sue giocate erano davvero degne dei giocatori più forti del mondo, e duole non averlo praticamente mai visto in Nazionale, se non quando andò a Torino, a dimostrazione che i giocatori di Roma all’epoca erano tenuti in scarsa considerazione da Bearzot, con il quale litigò dicendogli che non voleva essere convocato a 26 anni solo per portare le valige.
Dopo aver lasciato il calcio divenne commentatore televisivo, grazie anche a una simpatia naturale che ne faceva giocatore amato un po’ da tutti.
Chiude nella top ten delle presenze Lazio, con 338 partite e 51 gol, ma per tutti i tifosi è, e sarà sempre, in testa a pari merito insieme ad altrialla classifica della lazialità. Lui si che si era ammalato inguaribilmente di Lazio, come disse Giorgio Chinaglia, e oggi nel vederlo volare nell’ultimo viaggio con Olympia noi laziali siamo tutti un po’ più poveri.
Ti sia lieve la terra, Vincenzino. E salutaci il Maestro, Giorgione, Pino, Cecco, Felice e tutti gli altri, ti stavano aspettando per la partitella, che Giorgio deve fare gò…
Alessandro Tozzi