12 Novembre, 2024
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Anormalità climatica permanente. L’Italia è il paese con più sete d’acqua

Per gentile concessione – Siamo entrati oramai in una nuova epoca di “anormalità climatica permanente”, in cui le temperature più elevate hanno già modificato il ciclo dell’acqua. Come da anni ci ricordano gli scienziati del clima, il principale effetto del riscaldamento globale in corso è quello di aumentare frequenza e intensità di eventi meteoclimatici finora considerati eccezionali, ma che eccezionali non sono più.

Il nostro rapporto con l’oro blu – l’acqua, la più importante delle risorse e quella messa più sotto pressione dalla crisi climatica in corso – diventa dunque sempre più estremo: si alternano momenti di scarsità estrema della risorsa ad altri in cui di acqua ce n’è troppa e tutta insieme.

Per questo la quarta edizione della Conferenza nazionale di Italy for Climate, che si tiene oggi all’Ara Pacis di Roma, ha creato un focus specifico sul rapporto tra crisi climatica e ciclo dell’acqua. Mettendo in evidenza la posizione critica dell’Italia. Noi ci troviamo nel bel mezzo dell’hotspot climatico del bacino del Mediterraneo e per questo siamo più esposti agli impatti del riscaldamento globale, a cominciare dalla temperatura: a livello globale è aumentata di circa 1,1 gradi (rispetto al periodo preindustriale) mentre in Italia di quasi 3 gradi. Anche mettendo in campo drastiche riduzioni delle emissioni, arriveremo nei prossimi decenni tranquillamente a un +5 gradi (e all’interno delle città a molto di più). Per quanto riguarda la risorsa idrica, l’Italia ha una disponibilità teorica di 130 miliardi di metri cubi all’anno, tra le più alte d’Europa. Ma al tempo stesso, con un prelievo annuo di quasi 40 miliardi di metri cubi è il Paese europeo con la maggiore sete d’acqua.

Acqua dimezzata

In che modo l’aumento delle temperature sta modificando il nostro rapporto con l’acqua? In primo luogo, una recente ricostruzione dell’Ispra ha mostrato che rispetto all’inizio del secolo scorso la disponibilità di acqua in Italia si è già ridotta del 20%: se non arresteremo il riscaldamento globale potrebbe arrivare a ridursi di un ulteriore 40%, con punte del 90% in alcune aree del Meridione. Questo dato è particolarmente preoccupante se pensiamo che l’Italia già oggi è classificata come il Paese europeo con il più alto livello di rischio di stress idrico.

L’aumento delle temperature ha già portato a una riduzione del 30-40% del volume dei ghiacciai alpini: negli ultimi vent’anni si sono abbassati in media di 25 metri, come un palazzo di 8 piani ma con un’estensione di oltre 2 mila chilometri quadrati, il doppio del Comune di Roma. La riduzione della neve avrà effetti proprio su possibili fenomeni di scarsità nel bacino padano durante l’estate. E in inverno tra non molto tempo il Friuli Venezia-Giulia potrebbe essere la prima Regione del nord senza più neve in inverno per sciare.

Ma l’altra faccia della medaglia della crisi climatica è l’aumento dell’intensità e della frequenza di precipitazioni eccezionali. Nel 2022 in Italia il numero di piogge intense e grandinate, che fino a qualche anno fa si contava al più in poche centinaia, ha raggiunto il valore record di 2.000 eventi. Un italiano su cinque risiede in aree potenzialmente allagabili, mentre sono minacciate da pericolosità idraulica medio-alta 6,9 milioni di persone, 1,1 milioni di imprese e 4,9 milioni di edifici.

Ancora cemento su 60 km2

Le regioni a maggior rischio di alluvione in Italia sono l’Emilia-Romagna seguita da Veneto e Calabria e da Friuli-Venezia-Giulia, Toscana e Lombardia. La cementificazione riduce la capacità di un territorio di assorbire precipitazioni intense e, quindi, mitigare il rischio di alluvioni, ma ancora nel 2021 sono stati impermeabilizzati 60 chilometri quadrati di suolo, l’equivalente di una città come Udine. Con l’eccezione di Calabria e Toscana, le Regioni a maggior rischio alluvioni sono anche quelle che presentano tassi di cementificazione più alta (Lombardia e Veneto con il 12% seguiti da Emilia-Romagna col 9%).

Dando uno sguardo ad alcuni settori particolarmente critici, scopriamo che l’agricoltura italiana è di gran lunga il settore con i prelievi più alti (il 40% del totale) e in Europa è seconda solo alla Spagna. A causa dell’erosione idrica dei suoli, in Italia si perdono in media ogni anno 10 tonnellate di suolo fertile per ettaro, contro una media europea di 3,4. E il degrado riduce anche la capacità dei suoli agricoli di contrastare il riscaldamento globale sequestrando carbonio dall’atmosfera: attualmente perdono mediamente oltre 360 mila tonnellate di carbonio l’anno.

Con 9 miliardi di metri cubi ogni anno (+70% rispetto al 2000), l’Italia vanta il record europeo di acqua prelevata a usi civili, quasi il doppio di Germania, Francia e Spagna. Nel 2021 15 Comuni capoluogo di Provincia hanno dovuto interrompere le forniture a causa della crisi climatica. Ma perché il prelievo è così alto? Da un lato a causa di una infrastruttura idrica, vecchia e caratterizzata da investimenti insufficienti, che perde per strada 42 litri ogni 100 prelevati (contro i 33 di fine anni ‘90). Ma dall’altro, a causa di un consumo pro capite dell’utente finale di ben 220 litri al giorno, il più alto d’Europa, incentivato forse anche da tariffe idriche più basse della media.

Idroelettrico addio

Infine, è interessante notare come la crisi climatica e, in particolare, la siccità del 2022, abbia colpito duramente il settore idroelettrico che dovrebbe rappresentare una delle tecnologie chiave per tagliare le emissioni. Si tratta ancora oggi della più importante fonte rinnovabile per la generazione elettrica, ma la sua produzione in un solo anno è crollata del 37% e per la prima volta il suo contributo alla generazione nazionale è sceso al 10%, producendo più o meno quanto faceva negli anni ’50, ma oggi con una potenza installata tre volte superiore.

Durante la Conferenza si è cercato di approfondire possibili strategie e soluzioni per custodire la risorsa idrica. Ma se non rallentiamo la corsa delle temperature sarà sempre più difficile (e costoso) adattarsi al nuovo contesto. Per questo è necessario staccare la spina al riscaldamento globale tagliando subito le emissioni nette e puntando ad azzerarle entro il 2050. Peccato che l’Italia, proseguendo al ritmo degli ultimi anni, ci arriverà solo tra 200 anni.

Andrea Barbabella

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