Se manga e anime giapponesi sono ormai un fenomeno sempre più di cult in tutto il mondo, soprattutto in Asia, Europa e Stati Uniti, i ragazzi e le ragazze italiane sono tra i numeri uno mondiali del cosplay. Il termine “cosplay” nasce delle parole inglesi costume (“costume”) e play (“gioco” o “interpretazione”). Si tratta dell’arte di travestirsi per rappresentare i protagonisti dei più acclamati un personaggio particolare di un film, di un cartone animato o di fumetto, come i giapponesi “anime” e “manga” , e persino di un videogioco. Fondamentalmente, le persone indossano costumi su misura, spesso confezionati personalmente, identificandosi con i personaggi e recitando “vestendo i loro panni”, agghindati a festa nei loro costumi, imitando gesti e atteggiamenti. I genitori a volte non comprendono la passione dei propri ragazzi per il cosplay. In alcuni casi, richiedono anche il parere di psichiatri e psicoanalisti. Ma c’è veramente da preoccuparsi?
“Travestirsi e giocare a essere qualcun altro ha origini antiche”, afferma la psicoanalista Adelia Lucattini, “Come avviene in teatro, anche il cosplay è un veicolo di espressione che permette di giocare creativamente con la propria identità. È indubbio che il cosplay offra benefici psicologici a chi lo pratica. Tuttavia, come ogni attività, in alcuni adolescenti o giovani, più fragili, può essere estremizzato e divenire un’ossessione che non permette di uscire dal personaggio. Per molti rappresenta un modo per affrontare sotto mentite spogli, alcuni aspetti negativi o tristi della propria vita e per condividerli con gli amici con cui hanno in comune la stessa passione. In tutti favorisce un’appartenenza, ad un gruppo e a qualcosa di più grande, durevole, stabile e organizzato. È un luogo interno ed esterno, uno spazio transizionale, in cui presentificare i ricordi, far vivere i propri sogni, scoprire le attitudini personali e rivitalizzare i desideri”.
Si sceglie un personaggio da interpretare, che magari ha affinità caratteriali con la propria personalità e aspirina valori simili a propri. “Questo aspetto si sente molto negli adolescenti”, prosegue Adelia Lucattini, “È noto che quella adolescenziale è un’età in cui prorompono le emozioni e la creatività acquista una sua vitale autonomia, dove la costruzione dell’identità è un processo centrale. Il cosplay permette di giocare con le sfaccettature della propria identità: esplorandola, confrontandola con altri, conoscendola meglio”.
In forte maggioranza di sesso femminile (83,3%), con 24 anni e 8 mesi di età media, i cosplayer italiani sono presenti in tutto il territorio nazionale, con una prevalenza della concentrazione al nord. Cosplayers che partecipano in media a 5 eventi all’anno (su tutte manifestazioni come Romics a Roma, Lucca Comics e Comicoon a Napoli) e che spendono una media di 113 euro per realizzare il loro costume, ma che in alcuni casi sostengono una spesa anche superiore ai 600 euro per il singolo abito.
“I genitori possono stare tranquilli”, conclude Adelia Lucattini, “Sono ragazzi e ragazze che coltivano una passione e che, nel percorso di somiglianza ai loro personaggi preferiti, sviluppano nuove amicizie e prendono maggiore consapevolezza di sé. Tanti ragazzi, considerati timidi e chiusi, col tempo si sono sbloccati poiché indossare un costume aiuta a superare la timidezza poiché permette di attingere a una fiducia interiore che non si sapeva di avere. Inoltre, frequentando questo ambiente, trovano l’energia per costruire i loro costumi, la forza di uscire dal guscio protettivo della propria casa o stretta cerchia di amici, allargano la rete sociale, stringono nuove relazioni. Condividere la stessa passione, accomuna e avvicina, fa sentire di essere parte di un gruppo vivace, che attraverso un serissimo gioco delle parti, allontana tristezza e solitudine, regalando attimi di intensa felicità”.