Non sappiamo se quella che stiamo vivendo sia o meno una nuova era della strategia del terrore. Non sappiamo a cosa porteranno la guerra alle pendici degli Urali né quella nei Territori. In compenso sappiamo che abbiamo paura. Paura di un futuro sempre più incerto, fumoso, presumibilmente avverso. Le notizie s’accatastano una sull’altra, come i morti, i feriti, i dispersi. Le parole (dei politici) restano promesse da marinaio, speranze inevase e s’accoppiano in maniera perfetta con la lucida follia di chi una mattina decide di prendere un’arma e di far fuori chi gli capita a portata di mano. Questo per l’estero, per quel che avviene al di fuori dei confini nazionali, consapevoli del fatto che in ogni caso quel che avviene a migliaia di chilometri da noi si ripercuoterà comunque sul nostro sistema. Poi l’Italia, con la classe politica incapace di accordarsi perfino su chi debba pagare il caffè al bar. Il tutto mentre il popolo cerca di difendersi, evitando di farsi mettere alle corde. Ma sempre popolo resta. Inerme al cospetto di chi detta le regole a senso unico, senza ascoltare, senza un confronto, senza cuore. Servirebbe una Treccani per raccontare gli sgarbi perpetrati ai danni di chi non ha santi in paradiso. Che in una società normale non dovrebbero servire per migliorare la quotidianità. Fatta di aumenti d’ogni genere e tasse sparpagliate qui e qua, come la semina in un campo di grano. Ma per seminare serve sempre un agricoltore esperto. E di gente esperta, in giro, non se ne vede l’ombra.
Massimiliano Morelli