18 Novembre, 2024
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Libertà da ogni forma di dilagante violenza

Credo che gli ultimi drammatici avvenimenti di violenza sulle donne, spesso conclusisi con il loro assassinio, richiedano una valutazione di più ampio orizzonte. Occorre ricominciare, a mio parere, dall’analisi dell’attuale società, da uno studio attento dei rapporti economici e sociali, e non ricorrere esclusivamente alle categorie della psicologia o poggiando l’attenzione sui soli fattori di una cultura patriarcale.

Il nuovo assetto capitalistico, prodotto dalla globalizzazione, ha assunto una complessità e una dimensione dai connotati oppressivi e speculativi, ancora più feroci di quanto lo siano stati nel passato. Esso produce povertà, disuguaglianze e precariato e sfugge alle regole democratiche, imponendo un’economia di profitti e di sfruttamento.

Sono aspetti evidenti di un processo che si sta traducendo nell’esplosione esponenziale di una dinamica aggressiva la quale crea vantaggi smisurati, immensi profitti per pochi e non genera alcuno sviluppo, ma solo il dilagare delle disuguaglianze e della sofferenza.

In tal modo finisce con il prevalere l’assenza di tutele e di una stabilità lavorativa, vengono a essere cancellati i diritti, negati da un neoliberismo rapace, ed è smantellata la funzione regolatrice dello Stato.

La logica del mercato globale con un capitalismo finanziario speculativo, autoritario, spietato e feroce ha sviluppato nuove forme di dominio che sono non solo quelle economiche, ma anche quelle culturali e ha cancellato le regole, o meglio, gli strumenti che intervengono nei rapporti tra libertà, democrazia, sovranità politica e identità nazionale.

E, a guardare quanto avviene nel mondo, il capitalismo del massimo sfruttamento, ha innescato la accelerazione di un modus operandi che ha alimentato la cultura della violenza, dell’odio e della sopraffazione.

Le guerre e i “muri”, l’individualismo, il leaderismo e il consumismo fine a sé stesso sono generati da una feroce competizione per affermare il principio assoluto e incontrastato dei poteri forti del capitalismo. Questi nuovi idoli hanno finito per permeare la società e, in modo particolare, perché più sensibili ad essi, le nuove generazioni di un bisogno di primeggiare, di affermare la propria potenza rivolta ad emarginare se non a eliminare con la violenza il più debole, il più fragile.

La crescita dei conflitti sociali e l’espansione delle guerre sono, tra le altre cose, la più evidente conseguenza.

Nel mondo ci sono 869 conflitti e 10 guerre, tra cui quella tra l’Ucraina e la Russia e la Palestina e Israele che ci coinvolgono maggiormente perché più vicine a noi.

Segno evidente di questa nuova cultura sono “i muri” che molti Paesi hanno eretto con il falso pretesto della difesa. Negli ultimi anni nel mondo sono stati innalzati quasi 10.000 chilometri di barriere, disseminate ovunque, persino in seno all’Unione europea con la “linea verde di Cipro” e il “muro della pace” di Belfast, per impedire ai cittadini la libera circolazione nei loro stessi Stati o addirittura nelle loro stesse città.

Barriere per bloccare i flussi di emigrati che fuggono dalla povertà, dalle persecuzioni e dalle guerre con la speranza di trovare in altri paesi condizioni umane migliori, come quella eretta dagli Stati Uniti ai confini con il Messico   lunga 930 chilometri che si estende dalla California al Texas o come quella eretta dalla Spagna per contenere gli immigrati provenienti dal Marocco e quella eretta dall’Ungheria di 175 chilometri ai confini con la Serbia.

Siamo in presenza di una vera e propria rivoluzione dell’esercizio del potere e di inedite forme organizzative del capitale finanziario che portano a dividere e introdurre strumenti che affermano la distanza e il contrasto, spesso in nome della purezza etnica, della territorialità e della propria identità collettiva, interventi che sono il segno più palese di un pericoloso e anacronistico nazionalismo e sovranismo.

Questa cultura di un esasperato individualismo sembra essere indispensabile per affermare le leggi della nuova economia. E’ una regola indispensabile nei rapporti di forza nel mondo della concorrenza tra le forze del capitalismo globale per ottenere risultati di controllo sulle risorse umane.

Essa è finalizzata a ottenere e a controllare condizioni di subalternità e a stringere legami di potere di una “parte” sull’altra, di un popolo sull’altro, di un gruppo etnico sull’altro. Se ne deduce che diventa imperante il dominio del “padrone” che deve assicurarsi che non ci siano pretese di libertà, uguaglianza e diritti.

Uno scenario inquietante e angoscioso segnato da un aumento della povertà e della concentrazione della ricchezza, dello sfruttamento degli esseri umani da parte di altri essere umani.

Sono in gioco enormi interessi economici gestiti dalle multinazionali che combattono per il possesso di materiali pregiati – ittrio, lidio, scandio, tantalio – per la costruzione degli smartphone.

Aspetti di un unico problema quale quello di un potere egemonico del capitalismo senza frontiere che impone le sue regole spesso ammantate da un liberalismo ingannevole e predominante.

Le conseguenze sono quelle delle disuguaglianze, dello sfruttamento e delle ingiustizie.

Siamo in presenza di una condizione del mondo che richiede un cambiamento di sistema, il rovesciamento della finalità dell’agire umano.

Una necessità che a oggi non trova uno sbocco adeguato alle condizioni oggettive del momento, che risente del vuoto di una politica all’altezza delle sfide di questo secolo e priva delle sue forme organizzate rappresentate dai partiti.

Il progressivo esaurimento di quella forma di organizzazione di appartenenza “partito” ha svilito il rapporto con la politica con la conseguenza di avere il 40% di astensione al voto. L’individualismo, che caratterizza questi comportamenti, è per di più esasperato dalle distanze create dalla digitalizzazione che ha finito con il sostituire alla prossimità fisica con gli altri- quella che un tempo si trovava nelle piazze durante i comizi, nelle sezioni di partito durante le riunioni, in fabbrica durante le assemblee- una virtuale vicinanza.

Il web ha ridotto gli spazi al solo individuo, isolato, privato del contatto reale con gli altri e insidia i principi della democrazia intesa come partecipazione basata su un patto di cittadinanza rivolta ad accettare diritti e doveri.

Condizioni che hanno lasciato campo libero alla “violenza” come espressione del proprio interesse e della negazione del rispetto dell’altro.

In questo clima non è difficile dedurre che i terribili atti di violenza a cui ogni giorno assistiamo, i femminicidi, i genocidi, le pulizie etniche, l’antisemitismo, le guerre di religione derivano tutti dalla stessa matrice di odio e violenza prodotta dalla nostra società.

Di fronte a questi fenomeni non si può rimanere indifferenti. Che il problema esista e che abbia bisogno di soluzioni lo dimostrano le grandi manifestazioni che hanno riempito le piazze delle grandi città in cui si è inneggiato al rispetto dei diritti, alla necessità dei popoli di esistere e di avere la loro sovranità, alla tutela dei più deboli, delle donne, al riconoscimento dei ruoli che esse devono rivestire non solo all’interno della casa, ma nella società, alla libertà di gestire il loro corpo.

Nessuno può negare che il processo dell’affermazione dei diritti, l’emancipazione delle donne, la conquista di migliori condizioni di vita hanno costituito un decisivo progresso e avanzamento sociale e civile.

Bisogna tuttavia ammettere che molti problemi sono irrisolti e che ancora molto si deve fare per eliminare le disuguaglianze e le precarietà.

Oggi più che mai è necessario che le forze progressiste e democratiche siano in grado di ottenere risultati più avanzati e sappiano cogliere le aspettative, che sono state espresse nelle manifestazioni del 25 novembre contro le violenze, e in altre occasioni sono state sollevate dal mondo del lavoro.

 Questo significa un cambio di prospettiva che deve indurre a dotarsi di un nuovo pensiero in grado di leggere le mutazioni socio – economiche e a riqualificare i contenuti di una cultura proiettata in uno spazio di giustizia, di democrazia, di diritti.

 Su questo terreno si misura la prova della sinistra e dello stesso PD volta ad affrontare la sfida ad un sistema finanziario spietato, che crea e alimenta “le classi subordinate” cui sono negati diritti e prospettive di stabilità, e impegnata a perseguire modalità di lotta alle sperequazioni, alle violenze, alle discriminazioni per arrivare alla ridefinizione dei principi etici di solidarietà e cooperazione.

Una stagione di riforma culturale che non sarà facile né breve, ma certamente indispensabile per costruire una nuova società civile e democratica.
Ermisio Mazzocchi

Tratto da UNOeTRE.it

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