COP 28, la Conferenza delle Parti della convenzione ONU sul clima, si è chiusa a Dubai con un accordo imperfetto ma storico: per la prima volta a livello politico si afferma unanimemente la responsabilità dei combustibili fossili nel riscaldamento globale; purtroppo l’espressione transitioning away invece che phase out annacqua il processo di decarbonizzazione: un allontanamento, non un abbandono delle fonti fossili. È il business che detta l’agenda climatica, mentre dovrebbe essere il contrario. In questa situazione il limite di 1,5 gradi al riscaldamento planetario è fortemente a rischio. Il punto è che l’aumento di temperatura globale non significa, come pure qualche giornalista inopinatamente afferma, che “si avrà solo un po’ più di caldo”: tutt’altro[i]. L’Unione Europea emette circa il 6% dei gas serra e non può da sola invertire la tendenza globale. A maggior ragione l’Italia.
Di fronte a questo quadro non resta che adattarsi, ma il nostro Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici è fortemente carente[ii]: oltre a fare azioni di stimolo sul governo affinché il “sistema Italia” affronti dissesto idrogeologico e altre criticità strutturali amplificate dal clima che cambia, è indispensabile agire a livello locale. Anche perché la scala locale è prioritaria nell’attuazione di misure di adattamento: prime fra tutte, come indica l’Europa, quelle nature based, utilizzando i preziosi servizi ecosistemici offerti da alberi e verde in genere: riducono l’inquinamento dell’aria, mitigano con l’ombreggiamento le alte temperature, controllano il ruscellamento nei casi di eventi meteorologici intensi evitando smottamenti, frane e allagamenti. Fenomeni questi ultimi favoriti dal consumo di suolo, una piaga che imperversa anche sui nostri territori: un suolo cementificato è incapace di assorbire la pioggia, e se i sistemi di gestione delle acque meteoriche sono carenti arrivano i guai, e talvolta le tragedie. A maggior ragione in presenza di tanto suolo impermeabilizzato e di una estremizzazione delle precipitazioni meteoriche. I sistemi tradizionali di gestione delle acque meteoriche sono inadeguati: il cosiddetto stormwater management è una tematica prioritaria con cui le amministrazioni comunali devono fare i conti: laminazione, ritenzione, infiltrazione, pavimentazioni drenanti, tetti verdi sono solo alcune delle buone pratiche[iii]. Ma tutto questo funziona se c’è manutenzione: troppo spesso si vedono tombini ostruiti, all’origine di allagamenti con disagi ai pedoni, al traffico e danni alle abitazioni, se non peggio. Infine, non si perseveri nelle cattive pratiche e negli errori, come la distruzione del patrimonio paesaggistico e naturalistico di viale Poggio dei Pini di Anguillara[iv].
Alla luce di tutto ciò, in questo periodo di difficile transizione verso un futuro complicato, la domanda – tutta politica – che devono porsi sia gli amministratori che noi cittadini è: che Anguillara vogliamo da qui a cinque, dieci, trenta anni? È noto che i comuni non nuotano nell’oro, e Anguillara non fa eccezione, ma questo più che fonte di lamentazione deve essere uno stimolo ad allocare bene le risorse disponibili, a partire da quelle della cosiddetta “foresta urbana”.
[i] La COP 21 di Parigi nel 2015 si chiuse con l’impegno di contenere il riscaldamento planetario ben al di sotto di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, possibilmente entro 1,5: limiti collegati ai “planetary boundaries”, i vincoli alle attività umane oltre i quali si mettono in bilico i delicati equilibri di regolazione del “sistema terra”, che potrebbe evolvere in situazioni molto diverse da quelle, molto favorevoli per noi, che hanno caratterizzato l’Olocene, l’epoca nella quale si è sviluppata la società umana (cfr. Perché il limite è 1,5 gradi? Ce lo spiega Johan Rockström – Green.it ). Con gli attuali livelli di investimenti nelle fonti fossili è plausibile che si vada a ben oltre 2 gradi, senza contare che Donald Trump ha dichiarato che se verrà eletto alla presidenza USA “straccerà i patti per il clima e comincerà a trivellare”. Per restare in Italia – fra i paesi più colpiti da questi cambiamenti – subiremo sempre più spesso ondate di calore con punte di 50 gradi e oltre; periodi di siccità vieppiù prolungati seguiti da eventi meteorologici intensi più di quelli attuali con connessi smottamenti, frane e allagamenti; incendi e desertificazione di aree estese soprattutto nel meridione e in Sicilia. Qualcuno paventa addirittura la scomparsa di città iconiche come Venezia.
Mario Carmelo Cirillo
[ii] Cfr. Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: le carenze di un piano strategico per il futuro del paese | Scienza in rete
[iii] Si veda per es. https://www.edilportale.com/news/2021/03/focus/la-gestione-delle-acque-meteoriche-sistemi-e-soluzioni_81580_67.html
[iv] Per approfondimenti si veda Viale Poggio dei Pini di Anguillara Sabazia: poteva finire diversamente? – Associazione L’agone Nuovo (lagone.it)