Il “cosiddetto” Disco di Nebra fu rinvenuto nell’estate del 1999 da due saccheggiatori di tombe all’interno di una cavità in pietra sul monte Mittelberg, nei pressi della cittadina tedesca di Nebra nella regione della Sassonia-Anhalt. Due “tombaroli” che inizialmente pensarono di aver “bucato” la loro ricerca clandestina credendo di aver trovato semplicemente un coperchio di un secchio (seppure bello ed ornato); un “coperchio di un secchio” che successivamente invece si è rivelato come la più antica rappresentazione del cielo e uno dei ritrovamenti archeologici più importanti del ventesimo secolo! Trattandosi di un pezzo unico nel suo genere vale la pena farne una breve descrizione: Il Disco di Nebra è una lastra in metallo con applicazioni in oro risalente all’età del bronzo che raffigura chiaramente fenomeni astronomici e simboli di forte impronta religiosa. La piastra metallica, di forma quasi circolare, con un diametro di circa 32 centimetri, uno spessore di 4,5 mm al centro e di 1,7 mm sul bordo, pesa circa 2 kg, ed è costruita in bronzo, una lega di rame e stagno. Le applicazioni in lamina d’oro presentano una tecnica particolare di lavorazione ad intarsio e sono state aggiunte e più volte modificate. Grazie ad altri ritrovamenti (spade di bronzo, due asce, uno scalpello e frammenti di un bracciale a forma di spirale) si presume che il disco sia stato sotterrato intorno al 1600 a.C., mentre la data di fabbricazione viene stimata tra il 1700 a.C. e il 2100 a.C. Queste applicazioni consistevano inizialmente in 32 piccole placche rotonde, e due più grandi, una rotonda e una a forma di falce; sette delle placche più piccole sono raggruppate in alto tra le due maggiori. Più tardi sul bordo destro e sinistro furono applicati i cosiddetti archi dell’orizzonte, costituiti da oro estratto in altri luoghi, meno puro dal punto di vista chimico; per poterli applicare una delle placche più piccole fu spostata dalla parte sinistra verso il centro, e altre due sulla parte destra furono ricoperte; così, oggi sono visibili solo 30 placche minori. In un ultimo tempo è stato aggiunto un altro arco sul bordo inferiore, ancora una volta con oro di diversa provenienza. Questa specie di barca solare è formata da due linee quasi parallele con sottili tratteggi intagliati sugli angoli esterni. Quando il disco fu interrato mancava già l’arco sinistro, e sul bordo erano impressi con estrema precisione 40 fori di circa 3 mm. Una lavorazione di grande pregio, complessità, qualità e difficoltà soprattutto in considerazione che è stata fatta 4.000 anni fa. Il Disco è stato sottoposto a tutta una serie di complesse analisi comparate dei materiali : oro, bronzo ed alcune fusioni con lo stagno e sulla provenienza di essi ne sono uscite varie ipotesi fra cui quella che porterebbe sia per l’oro che per il bronzo oltre la Manica alla regione di Carnon in Cornovaglia! Anche su quale fosse l’uso del Disco si sono cimentati fior di studiosi dagli archeologi, agli astronomi, ai chimici esperti di archeologia,agli archeometallurgici, ai tecnici del metodo delle costruzioni agli archeologi studiosi delle religioni dell’ età del bronzo e le ipotesi scaturite sono molte e variegate che comunque convergono tutte sul fatto che il Disco rappresenti un porzione della volta celeste, su quale esattamente sia le opinioni divergono di nuovo; come pure su quelle del suo utilizzo anche se la maggior parte “virano” su forti elementi religiosi legati ad una sorta di osservatorio solare. Come non è ancora chiaro se il luogo dove fu ritrovato era una roccaforte o una tomba. Misterioso è anche l’uso dei fori laterali del Disco che si “ipotizza” fossero usati per fissarlo come oggetto di culto. Insomma questo Disco rappresenta un vero e proprio complesso, misterioso, arcaico rompicapo. Comunque che ci si trovi in una zona molto “emblematica” sotto il profilo storico-archeologico è avvalorato anche dal fatto che, a soli 20 chilometri dal luogo del ritrovamento, si trova Externsteine, l’osservatorio solare di Goseck, risalente addirittura al V millennio a.C. il che dimostra che le conoscenze astronomiche “esercitate” in zona risalgono ad un periodo ancora più remoto del Disco di Nebra. Vi è comunque una certezza che è quella che il Disco rappresenta la più antica raffigurazione del cosmo nella storia dell’umanità finora rinvenuta anticipando di 200 anni la scoperta del più antico reperto egiziano in proposito. Tanti altri interrogativi o presunti tali sono anche emersi durante il processo ai “tombaroli” con annessi tutti i ricostruiti passaggi di compravendita a privati ( si arrivò anche in Svizzera) e sempre maggiore lievitazione del prezzo del reperto, dove gli avvocati degli inquisiti, supportati dai loro esperti, sostennero la tesi che si trattasse di un falso affinché il reato fosse derubricato, ma la cosa non riuscì ed alla fine i due inquisiti furono condannati uno a quattro mesi di reclusione l’altro a e dieci. Gli imputati fecero ricorso in Corte d’appello, che però addirittura aumentò la condanna rispettivamente a sei e dodici mesi. Per inciso c’è anche in corso un’altra causa (tutta tedesca) per lo sfruttamento dei diritti d’immagine fra una nota casa editrice ed il land del ritrovamento. Comunque il Disco (ormai una “star” archeologica) dopo essere stato pure esposto in varie Mostre di valenza internazionale insieme ad altri famosi reperti provenienti dall’estero (vds. ad es. il Carro Solare di Trundholm) dal giugno 2007 è stabilmente ospitato, con successo, a Nebra, non lontano dalla località della scoperta, in un centro multimediale aperto al pubblico.
Arnaldo Gioacchini
*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO