L’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, inaugura la mostra in memoria di Antonio Molinari e Delia Landi alla Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano (Corso della Repubblica) l’8 giugno alle 18, aperta al pubblico fino al 22 giugno ore 10,30-12,30 con ingresso gratuito.
L’architetto e artista Antonio Molinari è nato a Tricarico in provincia di Matera in Basilicata nel 1947 ed è morto a Canale Monterano nel 2022, dopo la morte prematura dell’amatissima moglie Delia Landi nel 2018. Antonio Molinari e Delia Landi conseguono la laurea in architettura a Valle Giulia, per tre anni lavorano in Algeria, tornati in Italia aprono uno studio professionale e realizzano varie opere a Roma e dopo il terremoto del 1980 in Irpinia progettano e realizzano ristrutturazioni di edifici a Tricarico, costruiscono case nuove nel piano di zona per l’edilizia popolare. A Canale Monterano Antonio Molinari progetta e realizza nuove case, tra cui Casa Villanacci, Casale Baiardo, Marietti e il Casaletto di Madonnella, disegna il logo della Riserva Naturale di Monterano, il logo del maneggio di Caino, il logo di casale Baiardo. L’architettura del Molinari ama sperimentare i materiali: sa unire il metallo, il cemento, il vetro, in una sintassi compositiva originale. Fra le opere significative a Roma si ricorda la palazzina di Viale dei Romanisti, il Novotel, il complesso di piazzale della Radio, il Maximo Shopping Center, progettate e realizzate insieme alla moglie Delia Landi.
In carboncino su tavolette di masonite sono i ritratti degli amici del Molinari, la masonite è il materiale semplice e popolare degli arredi interni, così si può dire in metafora che nell’architettura che costruisce il vasto spazio del cuore è l’arredo essenziale e innumerevole dei volti della relazione umana, amicale e affettiva dell’architetto, come valore primo della sua vita. I dettagli sono tracciati con nero tratto riarso dal sentimento igneo della sua franchezza, della sua istintività diretta e immediata, che brucia le apparenze. Questi ritratti così abitano profondamente l’autore come il fruitore, superano la dimensione della maschera convenzionale di presentazione sociale dell’abitudine a vedere: sono volti di verità senza veli, che parlano abissalmente delle strade segnate del cammino identitario.
I visi del Molinari rubano l’essenza non scissa dal divenire temporale, in un abbraccio profondo che solve la dimensione antitetica di istante e d’eternità. Queste emersioni identitarie sono epifanie di un ascolto interiore, di un descensus ad inferos che si sospinge oltre le necessità quotidiane dell’alterità, le quali puranche l’artista in vita curava con dedizione assoluta: è una percezione che viaggia al di là del dicibile della coscienza, a trovare l’emozione profonda e taciuta, che sottende il tono muscolare dell’espressione. L’architetto elargisce la parola inespressa del vissuto, dandolo alla luce della forma. Il Molinari, nella distribuzione architettonica degli elementi portanti dell’essere, trova del volto la casa dell’anima. Allora, sotto il tetto dei pensieri, sono le finestre degli occhi e la soglia delle labbra, a schiudere l’ineffabile della ragione nelle modulazioni fluide del sentimento.
Dell’uomo egli ritrae i segni di una finitudine, che rimanda ai molteplici significati di malinconia, di memoria, di speranza, d’introspezione, di dolore, di sfida, di consapevolezza, di dubbio, d’ironia, di volontà, di ostinazione. E questa finitudine, fatta di rughe come vie dell’essere, trascende nel valore eternante di una collettività, ove la solidarietà è letteralmente il luogo umano della solidità, che rende l’io vincolato all’altro per l’intero del sé stesso. Il corpo sociale partecipa della salda coesione di ogni singolo elemento necessario in solidum, a creare l’equilibrio di composizione armonica del riconoscimento mutuale, che suggella il dono del reciproco legame di riconoscenza. Così nelle molteplici facce della differenza è il contenuto sostanziale dell’identità, che si racconta ed è raccontata, fra dedizione e gratitudine, perché l’altro è un viaggio di reintegrazione unitaria.
I dipinti, che serbano la sinestesia della partecipazione creativa unanime della moglie Delia Landi, offrono una materia fisica nodosa, concreta e grave, a restituire la continuità originaria fra pelle umana e pelle naturale, fra il corpo e la terra, che l’epoca attuale ha smarrito. I visi sono appezzamenti di terreno coltivato dal tempo, arato dalla fatica e dagli affanni, a germogliare il raccolto d’identità autentiche. Le mani sono grandi ad afferrare tangibilmente il valore incontestabile del lavoro. I colli sono eretti fusti arborei, cresciuti dall’orgoglio sano della volontà, che orienta alla luce della coscienza di una provenienza e di una destinazione di sé al nucleo familiare e sociale di un’appartenenza inscindibile.