“Mentre le Procure indagano avvocati, la politica discute di come le professioni possano essere utili nella lotta alla mafia. Ciascuno faccia il proprio senza debordare nei ruoli, senza impedire a ciascuno di svolgere i propri compiti costituzionali, tanto nell’esercizio del potere giudiziario quanto nel diritto di difesa”. Giampaolo Di Marco, segretario generale dell’Anf, Associazione nazionale forense, interviene così sul caso emerso a Milano che ha visto protagonisti due avvocati per i quali la Procura aveva chiesto al Giudice per le indagini preliminari misure cautelari interdittive; erano i difensori di uno cittadino turco, indagato, assieme ad un altro, per vari ipotesi di reato. In particolare, ai legali veniva contestata la ricettazione per il fatto che, secondo la tesi della Procura, avrebbero ricevuto somme di denaro dal proprio assistito “con finalità di profitto”, compenso dell’attività professionale. Ipotesi respinta dal Gip. Caso chiuso? Macchè.
Il mondo dell’avvocatura ha rimarcato la preoccupazione per quanto accaduto. E anche Anf non lascia correre. Nè l’esercizio del potere giudiziario nè il diritto di difesa, “due aspetti della vita democratica del nostro Paese”, possono può essere “limitati”, ma devono “piuttosto unirsi per una maggiore forza. Solidarietà al collega per il trattamento ricevuto sia sul piano giudiziario, sia mediatico. La giustizia può e deve fare il suo corso, ma non in forma mediatica”, conclude Di Marco.