Il giurista Stefano Rodotà in un articolo in cui trattava della conciliazione tra sviluppi tecnologici e qualità della democrazia, si chiedeva: “Tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente ammissibile, socialmente accettabile, giuridicamente lecito?” (https://www.privacy.it/archivio/rodo19991020.html).
Viviamo in una società globale caratterizzata da uno sviluppo tecnologico talmente rapido e profondo da produrre cambiamenti di cui, in molti casi, la maggior parte della gente non riesce a concepire la portata. L’utilizzo dei “social media” aumenta di anno in anno in maniera esponenziale (https://wearesocial.com/it/blog/2024/02/digital-2024-i-dati-globali-5-miliardi-di-utenti-sui-socialmedia/) e si parla sempre più diffusamente di intelligenza artificiale, una tecnologia che ha preso le mosse dagli sviluppi della potenza di calcolo necessaria a farne funzionare i software.
Grazie all’enorme capacità di archiviazione ed elaborazione dei dati e a costi sempre più contenuti, oggi miliardi di persone sono connesse e trascorrono molte ore online. La maggiore capacità di memoria dei sistemi, di velocità e di interazione digitale, hanno prodotto una quantità sempre maggiore di dati che alimentano i sistemi stessi ma, al contempo, creano anche il problema dell’archiviazione e della conservazione dei dati su cui si basano. Stiamo passando da una società della memoria, in cui le biblioteche e gli archivi preservavano il sapere, a una in cui si rende necessario selezionare e cancellare per permettere di conservare quanto possibile.
Questa “rivoluzione digitale” ha modificato qualsiasi aspetto della nostra vita e l’intelligenza artificiale, già presente da molti anni in molti settori, è arrivata all’attenzione del grande pubblico e tuttavia, recenti studi condotti in Italia (IA News, giugno 2024 “Perché’ gli italiani hanno paura dell’intelligenza artificiale”) hanno evidenziato che molte persone nutrono timori radicati al riguardo, basati su una combinazione di preoccupazioni reali e percezioni amplificate dai media, che influenzano profondamente l’opinione pubblica e, proprio in virtù di quell’utilizzo esponenziale di cui sopra, creano un circuito “non virtuoso” che può essere scardinato solo da una informazione più approfondita e un utilizzo più consapevole.
Il divario generazionale che, soprattutto in un Paese a bassa crescita come l’Italia, vede le generazioni più giovani, dai Millenials in poi, vivere realtà sempre meno analogiche e le generazioni precedenti sempre più diffidenti al cambiamento, crea una distanza che può tradursi in incomunicabilità, disinteresse o allontanamento.
Come si gestisce in maniera positiva un quadro sociale così composito? Sarebbe importante porre l’attenzione su come l’evoluzione dell’intelligenza artificiale possa condizionare la direzione delle scelte politiche e la visione sociale del mondo futuro quale occasione di potenziale estensione delle capacità umane, incluse ovviamente, quelle economiche. Valorizzando le competenze più creative dei lavori innovativi basati sull’utilizzo di quelle tecnologie, si promuoverebbero lavori più qualificati, che non entrano in competizione con la tecnologia ma se ne avvalgono.
La creatività risiede nelle menti giovani e la competenza nello studio e nell’applicazione e se si vuole affrontare le impegnative sfide di un futuro che noi boomer percepiamo con diffidenza, dobbiamo lasciare spazio ai nativi digitali offrendo loro quella memoria che non si fonda solo sui dati ma sui valori etici di un’esperienza che i software non potranno mai offrirgli.
Monica Sala