22 Novembre, 2024
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Il latte è uno degli alimenti più controllati. Intervista all’esperto

Molto spesso l’opinione pubblica dubita della salubrità degli alimenti messi in commercio. Il latte e i suoi derivati rientrano tra quelli maggiormente sotto accusa, probabilmente perché non si conosce l’impalcatura normativa a cui deve rispondere questa produzione.

In particolare, ripercorrendo un po’ la storia dell’evoluzione legislativa, possiamo dire che il 2004 ha segnato una svolta epocale nel sistema dei controlli sull’igiene e la salubrità del latte. In precedenza, infatti, il controllo era completamente demandato alle Unità Sanitarie Locali, che fornivano le licenze per produrre ed effettuavano in prima persona tutti i controlli previsti dal D.P.R. 54/97 “Regolamento recante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/CEE in materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte”. A titolo informativo i campioni di latte crudo prelevati alla stalla erano 5 l’anno.

Con la revisione normativa e l’emanazione dei tre regolamenti europei conosciuti come “Pacchetto Igiene” (Reg. 852-853-854/04) tutto è cambiato, soprattutto per i produttori, sotto più punti di vista.

Se da una parte, infatti, è diventato relativamente più semplice avviare una qualsiasi attività produttiva, e quindi anche una azienda agro-zootecnica, perché è sufficiente effettuare una SCIA al Comune di appartenenza per essere sul mercato, dall’altra il produttore, o meglio l’OSA (operatore del settore alimentare), è diventato responsabile in prima persona di quanto commercializza, e pertanto è tenuto ad effettuare lui stesso quei controlli di cui prima era garante il servizio veterinario pubblico.

Per approfondire quali sono nel dettaglio questi controlli abbiamo intervistato Silvia Fiorani, zoonomo ed esperta in controllo qualità nella filiera lattiero-casearia.

Dunque, un allevatore cosa è obbligato a fare per produrre latte?

«A seconda della specie allevata sono stati definiti i parametri igienico-sanitari da tenere sotto controllo per poter commercializzare il latte.

Gli allevatori di bovini sono quelli che devono monitorare la maggior quantità di parametri. Ogni 15 giorni sono tenuti ad analizzare il contenuto di carica batterica, una volta al mese le cellule somatiche (le cellule di sfaldamento dell’epitelio della mammella, usate come indicatore di possibili stati infiammatori e quindi anche di benessere) e il contenuto di aflatossina M1, una tossina che può originarsi da muffe presenti sugli alimenti di origine vegetale. In base all’analisi dei rischi viene inoltre analizzata l’eventuale presenza di sostanze inibenti che potrebbero derivare da residui di terapie farmacologiche o di prodotti utilizzati per la sanificazione dell’impianto di mungitura o del frigorifero.

Tutte le altre specie (ovini, caprini e bufalini) sono obbligate ad analizzare la carica batterica ogni 15 giorni, mentre per gli altri parametri ci si basa sulla cosiddetta “analisi dei rischi” prevista dall’approccio HACCP, secondo la quale la frequenza del controllo verrà stabilita in base alla probabilità che un certo rischio si manifesti. Per semplificare: un allevamento dove non si utilizzano nella razione degli alimenti ad elevato rischio aflatossina potrà effettuare questo monitoraggio solamente nei periodi più critici e con frequenza anche bimestrale o trimestrale».

I risultati delle analisi poi come vengono gestiti?

«I risultati delle analisi devono essere gestiti dall’allevatore in questo modo. Per la carica batterica si fa una media geometrica mobile bimestrale, il che significa che si usano i dati degli ultimi 4 campioni (ovvero 2 mesi) spostandosi in avanti di uno ogni volta che si fa il nuovo prelievo. Per le cellule somatiche il metodo è analogo ma la media geometrica mobile è trimestrale, ovvero su tre risultati spostandosi in avanti ogni volta che c’è un nuovo dato. Questi risultati devono essere mensilmente inviati alla ASL di competenza per dimostrare che il processo produttivo è controllato e che i parametri rientrano nei limiti stabiliti dalla legge».

E se qualche parametro non è conforme ai limiti di legge?

«Nel caso di carica batterica e cellule somatiche, essendo parametri che vengono azzerati con i trattamenti effettuati dagli stabilimenti di trasformazione, sono previsti dei tempi di ripristino delle condizioni di conformità ma si può comunque continuare a produrre e consegnare il latte. Per ciò che concerne, invece, le aflatossine e le sostanze inibenti la situazione è decisamente diversa.

Se l’aflatossina supera il limite di legge consentito, il laboratorio avvisa immediatamente l’allevatore che è tenuto a bloccare la consegna, ed inviare il prodotto alla distruzione. Sarà necessario presentare agli enti di controllo (ASL o NAS) il certificato di smaltimento della partita oggetto di non conformità. Nel frattempo, si dovrà effettuare una verifica sugli alimenti da cui potrebbe essersi originato il problema e ripetere il campione dopo aver fatto le opportune modifiche alla razione. La consegna del latte potrà riprendere solo quando i parametri ritorneranno nei limiti di legge.

Per quel che concerne l’eventuale presenza di sostanze inibenti, qualora venissero rilevate tracce nei campioni, sarà il laboratorio stesso ad allertare il servizio veterinario che provvederà a bloccare la partita e finché un nuovo campione non dimostrerà la risoluzione del problema, il latte non potrà essere consegnato».

Ci sono altri aspetti che dovremmo conoscere?

«C’è ancora qualche dettaglio da sapere: tutte le analisi sopra ricordate sono a carico del produttore (considerate che l’aflatossina costa minimo 17 euro a campione e quindi un allevatore di bovini da latte spende mediamente, solo di analisi, tra il 25 e i 30 euro al mese)  e che i campioni vanno obbligatoriamente analizzati presso laboratori accreditati, che rientrano quindi in un circuito a cui possono accedere i vari Organi di controllo, pertanto è pressoché impossibile  sottrarsi ad un costante ed assiduo monitoraggio del prodotto.

E ricordiamoci che questo è solo il primo anello della filiera, poi ci sono trasformazione e commercializzazione che devono rispondere ad ulteriori requisiti per soddisfare le garanzie igienico sanitarie richieste».
Sara Fantini
Redattrice L’agone

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