Quando, al termine dell’ultima riunione del Collegio dei docenti, ricevi una standing ovation sulle note di Vasco Rossi, ti scompare tutta l’amarezza di non essere stato compreso nella azione svolta a favore e per il bene dei bambini.
Della Scuola non mi rimarranno la stupida idiozia di burocrati senza cervello o la cattiveria di fantocci, politicucci da quattro soldi, né il male fattomi da persone incapaci di comprendere che si possa lavorare per il bene della società e non solo per lo stipendio mensile, che si possa lavorare per la crescita culturale dei ragazzi, che si possa lavorare per migliorare la società diffondendo cultura e conoscenza.
Della Scuola mi rimarranno invece i sorrisi dei bambini e quell’applauso che ancora mi risuona nel cuore e vi resterà per sempre.
A ben pensarci, la mia vita da sempre ha avuto a che fare con la Scuola, da cui ormai si è staccata definitivamente, perciò vorrei raccontarvi quanto la Scuola è stata importante per me.
Mio padre, “gliu maest’ Albert’”, era insegnante elementare ed ho di lui il ricordo di quando aiutava gli anziani del mio paesetto, che non avevano gli strumenti della scrittura e della lingua, a scrivere istanze per vedere riconosciuti i loro diritti.
Mia madre non “fece” le medie perché le donne non dovevano studiare. Sapete bene che, se si studia, poi si rischia di capire, di ragionare e infine di ribellarsi alle ingiustizie. Questo è il motivo per cui lei ha sempre preteso dai noi figli il massimo a scuola.
Da entrambi ho imparato ad accogliere ed amare il prossimo, senza “se” e senza “ma”. Da entrambi ho imparato a sopportare le ingiustizie verso la mia persona, ma a non accettare mai le ingiustizie fatte verso altri. Da entrambi ho imparato che solo studiando si è veramente liberi.
Iniziai ad insegnare per caso, a seguito dei concorsi vinti durante il servizio militare, cui mi ero sottoposto per avere giorni di licenza.
Fu una folgorazione: vedere illuminarsi gli occhi dei ragazzi a seguito delle mie spiegazioni, era impagabile. Furono sufficienti due soli giorni di lezione per convincermi che quello era il mio mondo. Svolsi ancora per un po’ attività come ricercatore, lavorando al progetto del TSS della NASA, ma l’inutile burocrazia scolastica non mi permetteva di proseguire e così lasciai la ricerca per dedicarmi solo ai ragazzi, in quel di Aprilia.
Piano piano mi sono reso conto dell’importanza del mio lavoro: mi rivedevo in loro e comprendevo come i miei atti fossero per loro fondamentali, più delle nozioni che trasmettevo. Per loro erano importanti le mie risposte alle loro domande sulla vita, nella quale la matematica non è mai marginale. Mi resi conto che il mio dovere non era solo trasmettere conoscenze e competenze, ma offrire un esempio e far emergere quello che avevano dentro. Quei ragazzini erano uomini e donne che si stavano formando, non avevano bisogno di nozioni che sarebbero state dimenticate in pochi mesi, ma di comprendere la bellezza della matematica, per comprendere la bellezza della vita stessa.
Giorno dopo giorno mi tornavano a mente alcuni dei miei insegnanti, quelli che non dimenticherò mai, i cui gesti e le cui decisioni avevano avuto su di me un impatto duraturo. Alcuni mi avevano ispirato e potenziato la curiosità, altri incoraggiato il pensiero critico e fatto comprendere come l’apprendimento offre piacere e soddisfazione.
Di altri non mi tornava e non mi torna in mente nulla, forse non sono mai esistiti.
In fondo, ciò che esiste realmente di noi è quello che lasciamo negli altri, nei loro ricordi, nelle loro azioni.
Divenni un insegnante.
Dopo qualche anno, per combattere una ingiustizia, mi ritrovai a fare il dirigente scolastico e per 24 anni, l’unico aspetto della scuola che mi è mancato è stato l’insegnamento. In questi 24 anni ho cercato di realizzare un ambiente favorevole alla diffusione della cultura, liberando i docenti dalle inutili pastoie burocratiche. Ho, cioè, sempre cercato di non far pesare a docenti e ragazzi ciò che era inutilmente pesato a me.
Occorre chiarire che la burocrazia, cioè il rispetto formale delle norme, è essenziale per il mantenimento della legalità e la sopravvivenza della stessa società. Tuttavia, quando la burocrazia non discende dalle Leggi, ma da decisioni di ministri che non sanno quale sia la realtà o, peggio, la conoscono e se ne infischiano, questa diventa un cancro che corrode le strutture sociali e mina la passione di chi crede nella Scuola.
Sono sempre stato un umile servitore dello Stato, quindi vostro servitore, o meglio, dei vostri figli. Un servitore dello Stato, mai un servitore del potere. Da quando sono dirigente scolastico, non ho più rinnovato e non ho più avuto tessere di partito in tasca. Questo mi ha permesso di tenere sempre la testa alta e poter guardare dall’alto gli occhi di chi, invece, è solo un servitore del potente di turno.
Non dover restituire favori ad alcuno mi ha mantenuto sempre libero di decidere di fare ciò che ritenevo più giusto.
Occorre però ammettere che mi ha determinato una vita molto poco tranquilla.
I miei detrattori mi hanno definito, di volta in volta, “comunista”, “fascista”, “servo del Papa” semplicemente perché non hanno il concetto di “servitore dello Stato”, semplicemente perché non comprendono come si possa restare in piedi senza genuflettersi davanti a nessuno, semplicemente perché non possono concepire come si possa lavorare esclusivamente con l’obiettivo di far avere il meglio ai bambini.
I bambini, sì, loro sono stati per 24 anni di dirigenza, il mio unico vero partito, un partito che non ti offre nulla in cambio, né favori né protezione, ma solo sorrisi ed occhi lucenti di gratitudine. Loro sono stati, oltre Iris e Stefano, gli altri miei figli. Per loro ho combattuto e ho avuto dolori e gioie.
Quando fui chiamato a dirigere la “Don Milani”, non potevo dimenticare l’importanza della lingua inglese per i bambini più piccoli, per cui proposi un corso di lingua contestato dai genitori meno acculturati, corso che si svolse tranquillamente fino all’anno in cui venne a colloquio da me un allora consigliere comunale che mi disse: “se fai svolgere il corso gratuitamente ai figli di alcuni miei amici, non avrai problemi”.
Potete immaginare cosa gli risposi.
Dal giorno dopo ebbi ispezioni e controlli da parte di tutti gli organi di controllo possibili ed immaginabili (Polizia, Carabinieri, Finanza, Vigili del fuoco, ASL, ispettori ministeriali, ispettori del lavoro …). Per giorni e giorni non potei più lavorare, dovendo rispondere a domande e dimostrare con i documenti alla mano il buon funzionamento della Scuola, la correttezza degli atti, l’assenza di abusi e chi più ne ha più ne metta. Non mi fu contestato alcun addebito, ma alla fine fui comunque cacciato da Cerveteri e, dalla scuoletta sparsa nella campagna romana, fui spedito a Ladispoli perché, a detta dell’ispettore ministeriale, le mie idee erano “troppo avanti per quel territorio” ed era meglio mostrare le mie capacità manageriali in una Scuola più grande.
Purtroppo esistono persone che non arrivano ad accettare che ne esistano altre che amano il proprio prossimo. Ci sono persone che vivono con un sorriso sincero sulle labbra ed altre che tentano in tutti i modi di spegnerlo per renderci tutti simili a loro: tristi fuori e dentro.
Qualcuno ha pensato che mandarmi via dalla “Don Milani” fosse una punizione. Per me è stato il dono più grande che potessi avere. Ho avuto la fortuna di incontrare tutti voi qui presenti, persone belle dentro e fuori con le quali abbiamo realizzato di più!
Se a Cerveteri la grettezza di alcuni genitori aveva reso impossibile svolgere alcuni progetti didattici, a Ladispoli, soprattutto per merito della incredibilmente eccellente e paziente Stefania Pascucci, si è quasi attuata la Scuola dei miei sogni, grazie anche alla apertura mentale del Sindaco Enzo Paliotta che aveva aperto ai ragazzi la sala consiliare (nonostante la responsabilità ricadesse su di lui). In quella sala consiliare, a mo’ di don Lorenzo Milani, si sono alternati concerti, recite, conferenze con astronauti, ministri, ambasciatori, giudici, poeti, politici, musicisti, ballerini, attori, giudici, cantanti, reduci da Aushwitz …
Cambiata l’amministrazione comunale, cambiarono gli atteggiamenti.
La sala da 400 posti poteva, per motivi di sicurezza, contenere al massimo 100 persone per sicurezza. Vero. Si tratta di responsabilità: sui piatti della bilancia si aveva da un lato la possibilità di un incidente, dall’altra la sicurezza di crescita culturale dei giovani cittadini di Ladispoli. La scelta è difficile. Enzo Paliotta la aveva fatta e io, quando avemmo la possibilità di avere a Scuola uno scrittore e poeta come Erri De Luca, non ho avuto un attimo di esitazione: ho rischiato e 200 ragazzi lo hanno ascoltato nella nostra sala teatro, di capienza massima di 80 presenze.
Tuttavia non c’è alcun male che non venga anche per un po’ di bene.
Quando un furbissimo politico (attuale ministro), cavalcò l’onda sciovinista e ci definì “pazzi” perché imponevano lo studio della lingua romena a scuola (come se studiare non sia “obbligatorio” per chi frequenta le lezioni e come se la lingua romena possa essere definita inferiore ad altre lingue europee), di colpo ci ritrovammo per giorni con giornalisti e telecamere di tutte le testate giornalistiche italiane a Scuola.
Del male fatto, io ricordo solo il bene derivato: un politicuccio aveva raccolto firme contro di me, io fui chiamato dal Presidente della Repubblica Romena, Klaus Johannis, a ricevere una attestazione di stima e ringraziamento per la diffusione della cultura.
Ancora oggi il romeno viene insegnato nelle classi dell’infanzia e della primaria le cui docenti hanno un pizzico di intelligenza in più.
Se qualcuno, dopo 24 anni di dirigenza scolastica e 60 anni di vita nel mondo della scuola (prima come alunno, poi come docente e genitore) crede che io sia convinto che allontanare per punizione dalla comunità scolastica un alunno possa servire a qualcosa, semplicemente offende la mia intelligenza e non meriterebbe alcuna replica.
Capiamoci, quando fui chiamato a dirigere la “Melone”, questa mi fu descritta, da docenti e genitori, come una Scuola senza disciplina, dove i docenti non riuscivano ad insegnare, dove per ciascun ragazzo il rischio di farsi male era presente giornalmente, dove era impossibile richiamare un qualsiasi studente a causa della reazione polemica, minacciosa o addirittura violenta dei genitori e soprattutto a causa della totale mancanza del supporto o dell’intervento dei dirigenti scolastici i quali, “non volendo rogne” e svolgendo solo il ruolo di burocrate dimenticando di esse dei didatta, preferivano, e preferiscono, lasciar correre senza intervenire in alcun modo … tanto i figli sono di altri.
Grazie a Voi, il risultato è oggi sotto gli occhi di chiunque voglia vedere: bimbi e ragazzi entrano volentieri a Scuola, sono sempre sorridenti, si dispiacciono se per qualche motivo non possono essere presenti. Sanno che la Scuola è un luogo dove vengono apprezzati, stimolati e, soprattutto, difesi e dove ci si diverte, perché la cultura è divertimento!
Come la maggior parte degli altri dirigenti scolastici, avrei potuto sempre defilarmi e lasciare ai docenti il loro carico distruttivo di ragazzi e bambini con problemi non seguiti e non amati dai propri genitori. I docenti, a loro volta, avrebbero potuto accantonare il proprio compito educativo, tanto lo stipendio arriva puntuale a fine mese che si lavori o meno.
Abbiamo tutti preferito, invece, sempre farci carico dei problemi, anche quando la scelta era totalmente impopolare, così come accaduto ultimamente quando dei genitori disattenti, aizzati da un sedicente professore universitario, supportati da un avvocato in cerca di pubblicità e giustizia sommaria, probabilmente supportati dall’interno stesso della Scuola, hanno messo me, “dirigente mostro”, in prima pagina nei titoli nazionali. È costata la mia immagine, ma ha permesso al bimbo in questione di avere 40 ore di copertura di supporto e di sostegno, ore da noi richieste fin dal primo giorno di lezione e che, senza il clamore, non si sarebbero avute.
Non ricordo il nome di questi servi del potere, né, tantomeno, i loro volti, li ho già dimenticati, ma li ringrazio. È vero, sono stato sospeso dal servizio, ma questi poveri tristi mi hanno donato la prova del Vostro affetto che ho ricevuto al mio rientro a Scuola, prova che non avrei mai avuto se non fossi stato allontanato, prova che mi ha spinto a chiamarvi qui, stasera, con me e che sarà l’unico ed indimenticabile ricordo della mia vita scolastica. Per questo vi ringrazio di essere qui stasera, tutti operatori della conoscenza, quindi tutti operatori per la libertà e quindi Vi considero tutti miei amici.
Non lo posso nascondere: sono triste, sono quello cui dispiace di più essere andato via nonostante mi avrebbero potuto far prolungare il servizio (come avvenuto per tanti altri dirigenti) ancora almeno un paio di anni.
Avrei voluto restare ancora perché c’è ancora da fare, perché le aule non sono tutte colorate, perché i piccioni ancora insozzano la Scuola, perché ancora tante illustri persone non sono venute a parlare con i ragazzi, perché ancora vorrei vedere suonare la nostra orchestra organizzata dal maestro Sergio Cozzi con i nostri giovani talenti.
Tuttavia non posso nascondervi la mia felicità. Sono felice perché ho incontrato persone come voi. Sono felice perché con il vostro lavoro abbiamo fatto brillare gli occhi dei bimbi e dei ragazzi nel momento in cui comprendevano che amate la disciplina che insegnate e proprio in quel momento hanno cominciato ad amarla anche loro. Sono felice perché ho visto sempre volti sorridenti dei ragazzi. Sono felice perché ho visto i bimbi salutarmi fuori Scuola. Sono felice perché ho visto fiducia nei volti di tutti i nostri alunni, convinti che ciascuno sarebbe stato rispettato e nessuno li avrebbe trattati male e convinti che, se anche fosse accaduto, sarebbero stati difesi dagli adulti presenti. Sono felice di avere conosciuto persone di cui come dirigente, ma soprattutto come cittadino italiano e del Mondo, vado fortemente orgoglioso. Anzi, è proprio come libero cittadino che desidero ringraziare tutti Voi, perché Vi siete sentiti non tanto semplici lavoratori, quanto componenti essenziali di una comunità che ha bisogno di Voi, anche se questa società malata non se ne rende conto.
Esprimo ammirazione per tutti Voi, che vi sentite parte di una comunità vera: quella umana. Una comunità che, per sopravvivere, ha necessità che i giovani apprendano dal passato vicende e conoscenze per evitare di ripetere errori già commessi e per migliorare la società per il bene di tutti, soprattutto dei nostri e dei loro figli.
Di ciascuno di noi, povera cenere al vento, resta soltanto ciò che abbiamo lasciato nella mente degli amici. Resta il sorriso, l’amore, la passione. Resta la volontà di non arrendersi davanti a nulla, se si opera per il bene. Resta la memoria.
Vado in pensione, ma voi resterete nella mia memoria e nel mio cuore perché Voi siete il bene della nostra società.
Riccardo Agresti