27 Settembre, 2024
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Figli che uccidono, il simbolico rinnegamento della famiglia

Figli che uccidono il padre e la madre come soluzione estrema ai conflitti, ma anche figli che picchiano i genitori; le casistiche aumentano e sconvolgono di fronte alle crude ricostruzioni, alle testimonianze, alle conseguenze.

Repelle l’idea che un figlio riesca a concepire di annientare chi lo ha messo al mondo e gli ha garantito, bene o male, la sopravvivenza nei primi anni di vita.

Preoccupazione e sconcerto

Preoccupa e sconcerta constatare che è più ricorrente di quanto si sia portati a credere. Soprattutto induce a pensare il fatto che solo in taluni casi, pochi, ci sia la malattia mentale dietro a queste aberrazioni.

Come è possibile, dunque, che un figlio riesca ad annientare la sua matrice, distruggere chi gli ha consentito di essere?

Per tentare di comprendere le azioni umane, spesso gli studi si rivolgono all’etologia, per dare risposte ai comportamenti letti in chiave degli istinti, poderose motrici degli agiti che spesso, nell’essere umano, sono impermeabili ai correttivi della ragione e dei sentimenti.

L’orrore, in natura assume connotati biologici di necessarietà, che pur non rendendo meno cruente talune azioni, cerca di darne un senso di possibilismo quando il senso sembra non esserci; uccidere i cuccioli, tra gli animali, è ricorrente in molte specie.

Gli studi

Studi diffusi hanno ampiamente motivato la matrice biologica di questi comportamenti apparentemente molto crudeli ma, di fatto, rivolti alla riproduzione, quindi a garantire continuità.

Non risultano, però, ricorrenze inverse, ovvero animali, cuccioli ma anche adulti, che uccidono i genitori (in particolar modo la madre) eccezion fatta per i casi di “matrifagia”, ovvero quella tendenza di un cucciolo di consumare il corpo della madre dopo lo svezzamento; fenomeno ricorrente esclusivamente in alcune specie di insetti, di aracnidi e di anfibi ma non anche in animali biologicamente più complessi.

Senza scomodare Edipo, quello che va analizzato sono i timbri di violenza e noncuranza con cui i figli uccidono, le futilità delle motivazioni che stanno alle radici di questi delitti.

Simbolici rinnegamenti della famiglia, quel composto marcio dove si è cresciuti soffrendo, corruzione morale del contesto sociale, ma anche mancanza di modelli di comportamento e di aspettative.

“Al diavolo” l’autorità!

Uccidendo, i figli rimuovono l’ostacolo dell’autorità, si liberano da divieti, impedimenti, regole.

Restano sempre le dinamiche emotive di crescita i vaccini più efficaci contro le impulsività nevrotiche e scellerate.

Potrebbe essere sempre l’amore, la dedizione e l’esempio l’antidoto al raptus o alla premeditazione di un’azione che resta, pur sempre, contro natura.

Gianluca Di Pietrantonio
Criminologo forense

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