Un’iniziativa “speciale”, realizzata in sinergia fra studenti e detenuti
“Il destino non esiste. Il fato non esiste”. Mi ripeto queste parole mentre scrivo queste poche righe. Eppure tutto s’incastra perfettamente.
Lo scorso settembre ho fatto richiesta per insegnare in carcere, in un qualsiasi carcere. Un po’ per incoscienza, un po’ per curiosità. E, soprattutto, perché credo che l’istruzione sia un diritto per tutti e non un privilegio per ricchi. Il 23 settembre 2023 muore Matteo Messina Denaro e, mentre tutti i telegiornali d’Italia parlano dell’accaduto, mi arriva una mail: “Le è stata assegnata la cattedra presso il carcere di Mammagialla, terzo superiore”.
Il mattino predo la macchina e la radio passa “Don Raffaé” di De Andrè. Dentro di me ripeto “Il destino non esiste. Il fato non esiste”. Arrivo a destinazione, firmo il contratto e mi accompagnano nella casa circondariale. Con me avevo il solito quadernone e una penna. Avevo preso qualche appunto veloce, distratto e sbrigativo. Arrivo di fronte a un enorme cancello in ferro, mi consegnano un tesserino, passo il metal detector, mi spogliano e mi tolgono il cellulare, il quaderno e la penna. Il secondino mi mette su una camionetta e mi porta all’interno di una struttura fatiscente. Mentre camminiamo lungo un corridoio pieno di muffa chiedo al piantone “insomma, questi ragazzi, quanti anni hanno?”. “Quali ragazzi?”, risponde lui.
“Ma come scusi, ho firmato per un terzo superiore!” asserisco. “Qui ci sono solo detenuti comuni o quelli di massima sicurezza, per lei abbiamo pensato a quelli di massima sicurezza”, sentenzia la guardia.
“E qual e la differenza scusi?”, chiedo accigliato. “I suoi studenti sono boss mafiosi o assassini”, la risposta. “Molto bene”, penso fra me e me.
Vorrei dirvi che questa è stata la più brutta esperienza della mia vita. Ma non ci riesco. Non posso. Con i detenuti ho fatto le lezioni più belle: da Dante a Cervantes, dalla poesia alla scrittura creativa. Giorno dopo giorno, la classe diventava sempre più piena, prima otto studenti, poi dieci, alla fine siamo diventati una ventina e la direttrice è stata costretta a darci una cella più grande. I detenuti sono lì, dentro da decine di anni e non conoscono più il mondo fuori. Così mi è venuta un’idea: una corrispondenza epistolare con i ragazzi della scuola “Salvo D’acquisto” di Bracciano, dove insegno. Per circa sei mesi ragazzi e detenuti si sono scambiati lettere su lettere, parole bellissime, struggenti e sincere. Non è stato difficile mettere su uno spettacolo teatrale con musica e parole. I professori Rosini e Mondini hanno accompagnato i ragazzi con chitarra e fisarmonica, il professor Fiorucci si è dedicato alla parte tecnica e il professor Carrus alla scenografia; e i ragazzi hanno recitato le lettere in più di qualche teatro: il teatro “Foucauld” di Bracciano; il teatro “Titina” di Manziana (grazie alla collaborazione con l’amministrazione comunale) e il teatro “San Pellegrino” di Nepi in collaborazione con l’associazione “La nuova torretta”.
Insomma, il successo è stato enorme, quello che però mi fa rattristare è che quelle parole, quelle musiche e quelle emozioni servirebbero molto di più ai detenuti che a noi.
Alessio Adolini, professore