14 Ottobre, 2024
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La scuola che non ci piace

Nelle scuole italiane mancano gli insegnanti perché sono tornati sui banchi. Formazione docenti: un commercio di titoli e crediti

Laurea triennale, laurea magistrale, master, corsi di perfezionamento in lingua straniera, certificazioni informatiche e linguistiche, corsi di alta formazione e chi ne ha più ne metta. L’insegnante è un sistema in continuo aggiornamento che sembra non arrivare mai alla versione definitiva, quella versione 2.0 tale da poter essere riconosciuta dalla società del nostro secolo. Se è vero che da sempre la professione di docente, sia esso di scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo o di secondo grado, sia in continua evoluzione e che debba sempre essere al passo con i tempi, questa sembra essere diventata ormai l’argomentazione più valida a sostegno di un sistema che non migliora l’istruzione, bensì la pone alla mercè di un “business”, un vero e proprio commercio di titoli e crediti formativi. Un sistema dal quale se non sei sufficientemente abbiente, sei tagliato fuori. Vincere un concorso non basta, meno che mai superarlo a pieni voti.

Mancano gli insegnanti. Quante volte lo abbiamo sentito dire? Eppure, il tanto ambito ruolo sembra essere diventata una meta sempre più lontana, così tanto da essere percepito come qualcosa di irraggiungibile. Di concorsi abilitanti non se ne parla, dal momento che ormai c’è la possibilità di fare investimenti (sicuri?) su percorsi di formazione che solo al termine delle lezioni e al superamento di una o più prove rilasciano l’abilitazione all’insegnamento su specifica classe di concorso. Corso di perfezionamento che un docente deve autofinanziarsi e ripetere per ogni classe di concorso di interesse. Gli insegnanti sono tornati sui banchi e le classi rimangono scoperte, questo perché a detta del Ministro dell’istruzione i ventiquattro crediti formativi del percorso di formazione indetto in passato, non sono più sufficienti e superare un concorso su materia con lezione simulata, domanda disciplinare e quesito in lingua inglese, non basta a determinare la validità di un bravo insegnante. Si tarano gli investimenti, e non le conoscenze.

I docenti si ritrovano a dover totalizzare punti secondo la logica dei supermercati, con i bollini dati a seconda di chi acquista più prodotti e nel minor tempo possibile. Tutto questo, si può effettivamente chiamare formazione docenti? Per non parlare del riconoscimento crediti: argomento spinoso e che varia da un’università all’altra. Linee guida poco chiare e non conformi che generano solo caos, astio, rabbia e sfiducia verso una professione che la maggior parte degli insegnanti cerca di intraprendere con passione e il cui interesse principale dovrebbe essere la preparazione e l’educazione degli studenti. Le dodici fatiche di Ercole, questa la sfida degli insegnanti di oggi per espiare una colpa poco chiara, se non quella di aver scelto questo lavoro.

Aurora Milana
Redattore de L’Agone

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