Riceviamo e pubblichiamo – Riabitare la montagna, non più solo come risposta a un’idea nostalgica o di montagna-rifugio, ma piuttosto come scelta verso una montagna-scrigno, fonte di valori, modello di sostenibilità e resilienza. È possibile anche grazie al cambiamento del clima?
Chiunque oggi parla di cambiamento climatico, ma trattarlo in modo scientifico è ben altra cosa, poiché la scienza non procede per meccanismo d’opinione, ma per verifiche sperimentali. Studi sulla storia del clima e sulla temperatura globale media negli ultimi 400.000 anni, affermano che l’attuale riscaldamento è parte di cicli naturali legati a eventi solari, correnti marine e attività vulcanica. C’è sempre stata una crescita della CO2 per cause naturali e con l’industrializzazione sono aumentate. Anche il rinverdimento globale, potenzialmente dovuto alla CO2, ha favorito, insieme alla tecnologia, un incremento della produzione agricola. Tranne la calotta antartica, i ghiacciai stanno diminuendo, innalzando lievemente il livello del mare. Invece non ci sono evidenze globali dell’aumento degli eventi estremi, mentre l’antropizzazione ha aumentato i danni a livello locale, attraverso una gestione insostenibile del territorio, all’inefficienza energetica e all’uso improprio di combustibili fossili. Non possiamo ritenere le emissioni umane di CO2 un problema per il clima globale, che dipende essenzialmente da fenomeni naturali, mentre l’utilizzo di strategie di adattamento e l’uso più efficiente dell’energia sono i comportamenti più idonei da mettere in atto.
La SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne, partita nel 2013) e altre strategie politiche in essere, hanno catalizzato l’attenzione in modo da trovare una soluzione utile al Bel Paese dando voce a territori invisibili, formulando strategie in risposta alle volontà dei “margini” inascoltati. Il tentativo è stato quello di far disegnare le politiche da chi i problemi li vive in prima persona, gli unici soggetti capaci di impedire l’emergere di dinamiche di crescita poco rispettose dei territori e dei luoghi.
Se penso a come sento la montagna, provo un senso di “fascinazione”, sensazione di incredulo, ingenuo, genuino stupore, un senso di libertà, di benessere inspiegabile…
Possiamo descrivere il luogo montagna così soggettivamente? Può una linea svelarci caratteristiche intrinseche, peculiari, umane? No, è un’interconnessione unica, ogni località ha la propria anima, il proprio vissuto, è le persone che la abitano. Non c’è una sola montagna, ma sono tutte “terre alte”.
Sicuramente la dislocazione ha favorito un legame particolare tra vita animale, umana e vegetale, la specificità nelle pratiche colturali, pastorali, di gestione degli ambienti, degli insediamenti, nelle forme di aggregazione comunitaria, nelle tradizioni.
“Colei che, da sempre, ci sos-tiene”, questo è emerso grazie al susseguirsi di una serie di eventi. Montagna come luogo di collaborazione, di cooperazione, di comunanza, non solo sfogo per necessità. Nel periodo del COVID, tutto era “stretto”, “infetto”, “chiuso”, ma la riscoperta dei luoghi aperti, della purezza, dell’assenza di barriere, ha portato a risvegliare la coscienza, a riscoprire ricchezza e varietà del patrimonio montano, a valorizzare i vantaggi della “rigenerazione” favorita dai “vuoti” della natura, dei luoghi di margine. La privazione delle libertà umane ha innescato la ricerca di spazi in grado di “consolarci” e riempirci d’aria e di benessere, di salubrità fisica e mentale, valorizzando biodiversità agricola, alimentare e culturale. Si valutano nuovi progetti di recupero di vecchi sentieri e versanti terrazzati, si valorizzano i paesi rurali, la rete degli insediamenti e dei sistemi sociali e produttivi; si progetta un miglior utilizzo delle risorse idriche, energetiche, agro-pastorali, forestali e turistiche. Occorre pensare a una montagna frequentata, abitata e produttiva, che presidia e preserva: montagna laboratorio di nuovi stili di vita e di coesione territoriale e sociale.
Non una montagna come zona di scarto, perché messa al margine, ma da cui può venire lo “scarto”, inteso come movimento improvviso del cavallo che cambia il gioco (T. Montanari).
La montagna, che occupa ben un terzo abbondante del territorio nazionale, si sta riproponendo per l’intrinseco valore, per nuovi possibili modi di vita montani, per la superiore qualità della vita, la tranquillità, le risorse ambientali e paesaggistiche, per una fruizione consapevole sia turistica che di utilizzo delle risorse, capace di darle nuova centralità, come evidenziato nel Manifesto di Camaldoli elaborato dalla Società dei Territorialisti.
Uno scrigno di valori insito nel mondo montagna, un variegato libro di saperi da sempre tramandati dai “montanari”, dell’innata potenzialità sottovalutata e della voglia di molti giovani di restare. Queste specificità devono essere messe in primo piano e grazie alle note caratteristiche ambientali, paesaggistiche, storico-culturali, architettoniche, infrastrutturali, insediative, socio-produttive che la differenziano dal resto del Paese, dobbiamo cercare sempre più di attuare un percorso per tutelarla e valorizzarla ricordandoci sempre di mantenere il suo valore di unicità.
I decenni passati hanno visto un continuo spopolamento e abbandono delle terre alte, ora, anche con la possibile complicità del cambiamento climatico, si può attivare un percorso inverso di rivalutazione o di rinascita, con i territori di margine protagonisti e pronti a riprendersi il loro meritato posto. I loro valori patrimoniali appaiono come un insieme di risorse che, in quanto fondate su una cultura del limite, sulla peculiarità dei prodotti e su una qualità della vita superiore. Ciò può rendere resilienti le comunità locali.
È iniziato un ‘ritorno’ che ha come protagonisti nativi intraprendenti, ‘ritornanti’ e ‘nuovi montanari’ per scelta. Una montagna di “ri-carica”, non una “discarica” dei problemi delle metropoli. Non è un percorso semplice e non incontrerà il consenso di tutti. Il desiderio di rivalsa e gli antichi saperi, gelosamente custoditi, sono i valori fondamentali a cui seguono senso civico delle comunità, interesse comune, salvaguardia, gestione e riproduzione dei beni patrimoniali, promozione di nuove forme di autogoverno comunitario. Le grandi potenzialità del patrimonio montano e i “benefici ecosistemici” sono un binomio vincente, che serve anche al Bel Paese.
Non serve un modello-base di sviluppo, ma favorire ogni volta un progetto locale integrato, autosostenibile, agro-ecologico, inclusivo, comunitario valorizzando le peculiarità locali.
La rinascita passa sicuramente attraverso la multidisciplinarietà, serve promuovere un recupero della montagna multifunzionale coniugando l’istintivo intuito dei giovani con il ragionamento analitico dei vecchi saperi, che usano l’innata cultura a beneficio della valorizzazione dei luoghi senza sfruttarli, ponte fondamentale che unisce l’eredità del passato con il futuro della montagna per una crescita equilibrata ma necessaria.
Silvia Morato
Bibliografia
· Filippo Barbera, Antonio De Rossi, Michele D’Ottavio, Metromontagna. Un progetto per riabilitare l’Italia, Roma, Donzelli, 2021
· Filippo Barbera, Domenico Cersosimo , Antonio De Rossi, Contro i borghi. Il bel paese che dimentica i paesi, Roma Donzelli, 2022
· Andrea Membretti, Stefania Leone, Sabrina Lucatelli, Daniela Storti, Giulia Urso, Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi, Roma, Donzelli, 2023
· Andrea Membretti, Filippo Barbera, Gianni Tartari, Migrazioni verticali. La montagna ci salverà? Roma, Donzelli, 2024
· La nuova centralità della montagna, in “Scienze del Territorio”, rivista di studi territorialisti, 2021