In Regione Lazio stiamo assistendo da diversi mesi a una crisi tutta politica, stile Prima Repubblica, comprensibile solo agli addetti ai lavori, ma che sta rallentando non solo l’attività istituzionale compromettendo la capacità di pianificazione politica ed economica dei prossimi anni, ma soprattutto sta danneggiando la credibilità dell’ente regionale che, da sempre e per chi lo amministra, rappresenta una sfida e una vetrina politica per dimostrare la capacità di governance.
In questi anni i presidenti del Lazio, divenuti più di tutti “governatori” dai pieni poteri non solo perché esaltati dal voto diretto dal popolo, ma per l’importanza strategica della Regione, non sempre hanno retto alle crisi di diversa natura politica. Questa capacità che non si è palesata nelle legislature guidate da Marrazzo e Polverini, era stata dimostrata da Storace e, in tempi recenti, nelle consiliature guidate da Zingaretti.
Dopo le elezioni europee, che hanno sancito il sorpasso a livello nazionale di Forza Italia sulla Lega, Tajani ha messo il turbo e ha incassato tanti cambi di casacca in tutto il Lazio, sfruttando il costante declino dell’appeal dell’alleato Salvini che negli anni aveva fatto incetta di classe dirigente locale.
I passaggi a Forza Italia hanno riguardato tanti consiglieri comunali in tutto il Lazio, nei municipi di Roma e anche in assemblea capitolina dove si è ricostituito il gruppo politico.
In Regione, invece, i forzisti hanno visto l’adesione, oltre a Colarossi e Della Casa eletti nei M5S nel 2023, di due nuovi consiglieri regionali esperti come Tripodi e Cangemi, provenienti dalla Lega, portando così il gruppo alla Pisana da tre a sette componenti.
Questo spostamento ha spinto Forza Italia a reclamare più spazio nella giunta Rocca, sia rispetto alla gestione politica della Regione puntando a deleghe più importanti sia, più banalmente, chiedendo un numero maggiore di assessori a oggi sotto rappresentati rispetto alla Lega, il cui gruppo si è ridotto alla sola Cartaginese.
Questo che può sembrare un classico scontro muscolare tra gli alleati minori, in realtà, è una danza politica che cela la richiesta, da parte di entrambi, di ridurre il potere smisurato di Fratelli d’Italia che esprime il presidente e il vicepresidente di Regione, quello del consiglio regionale e le deleghe più importanti, tra cui la sanità, in capo ancora a Rocca.
La partita che i forzisti stanno giocando nel Lazio ha evidenti riflessi nazionali anche sugli equilibri di governo tanto che, in questi mesi, Rocca ha cercato la quadra chiedendo ai reggenti del partito, in primis Arianna Meloni, un supporto anche per scacciare problemi di credibilità intorno alla sua figura alla quale le opposizioni contestano l’incapacità di essere il vero leader politico della maggioranza e di non avere il timone saldo dell’amministrazione regionale.
Le opposizioni, ricompattate anche grazie alle centinaia di migliaia di firme raccolte per il referendum contro l’autonomia differenziata, protestano sia simbolicamente con l’occupazione dell’aula, ma soprattutto chiedendo da mesi a Rocca un confronto politico e che il chiarimento della maggioranza avvenga in consiglio e non nelle riunioni ristrette di partito.
Quello che sicuramente dovrà fare il presidente Rocca è trovare il filo di Arianna e tentare di uscire fuori dall’intricato labirinto politico in cui, suo malgrado, si è ritrovato cercando, da un lato, una soluzione che lo rafforzi in vista dei futuri scontri interni alla maggioranza e che, dall’altro, gli liberi del tempo per dare risposte concrete e serie ai cittadini del Lazio.
Fabio Rollo