27 Dicembre, 2024
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Quando l’abuso c’è, ma non si vede

Storytelling. Breve storia per contrastare la violenza sulla donna

Mi chiamo Chiara e questa è la mia storia, semplice, comune a tante donne. Ebbe inizio quando conobbi Mario, un ragazzo amorevole, romantico e pieno di sorprese. M’ innamorai, e lo sposai.

I primi tempi di matrimonio furono una favola: «Usciamo stasera?», mi chiedeva spesso ed io ero felice di uscire in comitiva.

Non notavo che erano sempre meno gli amici che ci seguivano. Non me ne preoccupavo, lui diceva di amarmi così tanto da voler godere della mia sola presenza! Regali, fiori, proposte di viaggi, ma… quell’estasi durò poco. Iniziarono presto le sue scenate di gelosia, un abito era troppo stretto, uno troppo scollato… non gli andava più bene come mi vestivo, né chi frequentavo. Cominciai a sentirmi in difetto, forse era colpa mia se lui si incupiva? Del resto, voleva solo dimostrarmi il suo amore e se mi chiedeva un cambiamento era solo per il mio bene, lui ci teneva tanto a me. Pensai che avesse ragione: da quando erano nati i nostri figli mi ero trascurata, lui mi aveva esortata a lasciare il lavoro per rimanere a casa e occuparmi totalmente della loro crescita. Lo avevo fatto volentieri e riconosco che non mi dispiaceva rimanere a crogiolarmi tra le mura di casa. Gradualmente, però, lui mi faceva capire che io non ero come lui si aspettava, mi diceva che avrebbe provveduto a tutto, in modo che potessi dedicarmi solo ai figli, ma pian piano, sparivano i complimenti e aumentavano le critiche nei miei confronti. Io uscivo di casa sempre meno, per fortuna c’era lui che, ogni tanto, mi portava a cena fuori. Mi faceva ancora tante belle sorprese ma, a volte, mi lasciavano l’amaro, perché decideva sempre lui, si faceva ciò che voleva lui e quando voleva lui. Del resto non avrei potuto scegliere di fare alcunché, ormai dovevo chiedere a lui i soldi per ogni necessità. Il tempo passava e quando i bambini iniziarono la scuola, la casa cominciò a starmi stretta. Mi accorsi di essere rimasta sola. Mio marito passava da dimostrazioni d’amore a stati di silenzio assoluto, di nervosismo e di pressioni su ciò che avrei dovuto fare. Io non capivo cosa gli stesse accadendo. Forse aveva problemi di lavoro? Sentivo che aveva un gran bisogno di sentirmi vicina, ma evidentemente non gli bastava. Più emergeva il suo atteggiamento egoistico e disinteressato, più mi sentivo sbagliata.

Fu quando cominciai a dire no a qualche sua richiesta di troppo, che lui iniziò a svalutarmi, prima in casa, deridendomi davanti ai figli, poi denigrandomi davanti ai nostri parenti, infine iniziò a farlo tra gli amici, pubblicamente. Ero diventata quella che non sapeva fare niente. Dovevo sfogarmi con qualcuno e fu così che chiamai la mia amica Paola. Non la sentivo da anni, ma era sempre stata un’amica speciale: intelligente, brillante, preparata. Lei aveva sempre una risposta per tutto!

La incontrai con grande gioia e, di fronte a una tazza di tè, le raccontai del malessere che mi attanagliava. Lei mi ascoltò con molta attenzione poi mi disse: «Hai mai pensato di rivolgerti a un centro antiviolenza?» «Naturalmente no», le risposi scandalizzata, «lui non mi ha mai picchiata!»

«A volte le parole fanno più male degli schiaffi» mi disse Paola brevemente. Io lì per lì non capii, mi sentivo ridicola a raccontare il mio disagio in un centro di violenza, ma le sue parole mi risuonavano dentro come una sinfonia che dovevo per forza ascoltare. Così, un giorno telefonai e presi appuntamento in un centro lontano da casa mia. Mi accorsi subito che mi faceva bene parlare con le operatrici, così tornai una seconda volta e poi una terza, finché capii il motivo del mio malessere: esiste una violenza che non si esercita solo con le botte, ma non per questo è meno dolorosa. È una forma di violenza più subdola, nascosta: è violenza psicologica. C’è voluto tempo e molti incontri ma, giorno dopo giorno, ho aperto gli occhi. Lui mi aveva tolto ogni autonomia, di azione e di pensiero. Arrivò il giorno del coraggio e lasciai quell’uomo che avevo amato e che mi aveva distrutto.

Ancora oggi, a distanza di due anni, mi chiedo come ho avuto la forza di abbandonare tutto, casa e marito. Ricordo le offese e le minacce che mi rivolse il giorno che me ne andai. Mi cercò, mi insultò e insultò i miei genitori, urlando che ero una “poco di buono” e che non valevo niente. Lui mi amava ed io lo avevo distrutto, ma di certo me l’avrebbe fatta pagare.

È stata una scelta difficile e dolorosa, che però ha determinato la mia rinascita: ho recuperato gli affetti dai quali mi ero allontanata; ho evitato che i miei figli crescessero con un modello di padre che usa ogni forma di manipolazione affettiva pur di assoggettare una donna; ho recuperato il lavoro e ho ritrovato la mia indipendenza economica.  Soprattutto, ho riguadagnato la libertà di fare e di pensare. Oggi, anche i miei figli sono più sereni, frequentano il padre, ma non assistono più alle mortificanti scene della mia dignità calpestata. Mi sono rivolta a un centro antiviolenza, senza aver dovuto presentare alcuna denuncia. Lì, sono stata ascoltata, ho trovato tutte le informazioni utili a capire il mio disagio, gli operatori hanno garantito la mia riservatezza e nessuno mi ha forzata a prendere decisioni. Ho sofferto, e tanto, ma imparato che non permetterò più a nessuno di dirmi che non valgo nulla, di minacciarmi e di farmi sentire una nullità. Ora la mia vita ha un valore, so chi sono, soprattutto so cosa voglio, e cosa non voglio essere. Sono serena, mi sento di nuovo bella, sono di nuovo una donna, sono nuovamente Chiara.

Non abbiate paura di farvi aiutare, non abbiate paura di riprendervi la vostra vita.

Anna Maria Onelli
Redattore L’agone

 (Storytelling presentato, dall’autrice Anna Maria Onelli, ai lavori del Tavolo Interistituzionale della ASL RM4 per sensibilizzare sulla violenza di tipo psicologico)

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