22 Febbraio, 2025
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Le grandi piene del Tevere, nel 1598 straripò a Roma e fece 4.000 morti

Per gli antichi il fiume Tevere era considerato alla stregua di un dio ( il Dio Tevere – ndr) e come tale veniva omaggiato. Vi è da ricordare anche che, come agli altri dei,  gli ossequi che gli venivano conferiti ( fra l’altro offerte tangibili in oro: collane, orecchini, anelli preziosi, e corone d’oro gettate nelle sue “bionde” acque e tutto ciò per vari secoli) fossero magari, in parte, dettati dal reverenziale  timore che il “fiume di Roma” incuteva dai tempi più antichi di cui si ha notizia ( V secolo a.C.) fino quasi ai nostri giorni (i primi del ‘900) con le sue tremende piene e  le relative esondazioni con tutto quello che causavano, alla “Città Eterna” ed ai suoi dintorni, di lutti e danni. Per essere giudicata estremamente pericolosa la piena tiberina doveva superare agli idrometri, in particolare a quello dell’antico Porto di Ripetta, i 16 metri. I sedici metri di altezza, delle cosiddette piene catastrofiche,  che il “dio” Tevere in un ben preciso documentato periodo che va dall’anno mille al milleottocentosettanta, superò per ventuno volte e di queste ben tredici si verificarono dal millequattrocentocinquanta al millesettecento. E fu proprio nel millecinquecento che si ebbero cinque piene assolutamente eccezionali di cui quattro superarono i diciotto metri. Con quella che investì Roma dal 23 al 25 dicembre 1598 che sfiorò addirittura i 20 metri! (19,56 – la più grande mai verificatasi) con 4.000 metri cubi al secondo di portata! all’Idrometro di Ripetta come a dire nel cuore della città. Si trattò di un evento terribile che causò circa 4.000 morti (con una popolazione che si aggirava solo intorno alle 100.000 anime) fra quelli morti affogati e quelli che morirono successivamente a causa delle malattie ingenerate dallo stagnare delle acque e da quanto rigurgitato dall’insufficiente e scadente sistema fognario cittadino e con centinaia di cadaveri che furono gettati nelle fosse comuni e ricoperti di calce allo scopo di prevenire, per quanto possibile, le  epidemie. Vi è anche da dire che in occasione di questa tremenda alluvione le acque del Tevere raggiunsero fra le vie cittadine anche punte di 5 metri d’altezza! andando pure a coprire le colonne del Pantheon che è il luogo di Roma più basso rispetto al livello del mare ( 6 metri sotto). E come se ciò non bastasse solo 15 giorni dopo, il 10 gennaio 1599, il fiume uscì di nuovo dagli argini andando ad infierire ulteriormente su una città  ancora piegata in due  dalla tragedia di pochi giorni prima. In questa occasione crollarono anche due  piloni portandosi dietro tre arcate del ponte detto all’epoca  Ponte Senatorio (prima ancor detto Ponte dei Senatori), il famoso “Ponte Rotto”  (nato nel 241 a.C. come Ponte Emilio – fatto infatti da Emilio Lepido) che si trova subito a sud dell’Isola Tiberina.  La cosa però non fu vissuta più di tanto come un guaio, anzi, in quanto insieme a Ponte Milvio e Ponte S. Angelo aveva sempre reso ulteriormente difficile  lo scorrere del fiume che non è che godesse  (e gode) di grande pendenza in quanto la zona del centro storico di Roma più alta rispetto al livello del mare è tale di soli 12 metri  e non è casuale il fatto che per accelerarne il flusso in città, lungo il suo corso, sono state costruite alcune  pescaie. La tragicità della piena del 1598 non  si ripeterà più  in quanto circa mille chilometri quadrati del bacino della Val di Chiana furono indirizzati verso l’Arno,  sul  Velino fu costruito un ponte regolatore  e inoltre i torrenti Rio Maggiore e Treia furono deviati,  tutto ciò fu portato a  conclusione nel 1602. Ci fu poi una grande piena (17,22 metri di altezza) il 28 dicembre del 1870,  che i tecnici dissero che avrebbe addirittura superata quelle tragica del 1598 se non fossero stati fatti gli interventi succitati. Piena che finalmente fece decidere il governo d’allora (quello sabaudo subentrato a quello vaticano solo il 20 settembre 1870 con  “la breccia di Porta Pia”)  a far costruire  i grandi muraglioni in travertino ancora oggi visibili ed in funzione. Un lavoro formidabile a cui si aggiunsero anche la costruzione di due grandi collettori fognari, la sistemazione dei ponti storici e la rimozione di tutti gli ingombri adagiati sul letto del fiume inclusi i resti del Ponte Senatorio. Lavori fondamentali, per salvare Roma ed il suo centro storico,  dagli straripamenti del Tevere che durarono, totalmente, circa una cinquantina di anni. Si trattò comunque di  opere  veramente salvifiche che furono messe a dura  prova il 17 dicembre 1937 quando il Tevere si gonfiò enormemente  (come nel 1870)  ma la città non ne ebbe a soffrire più di tanto e soprattutto non vi furono morti.

Arnaldo Gioacchini,  Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale

 

 

 

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